Qui pure la luna si è rotta!
In un paese del Sud, due donne diverse per età ed esperienze, si incontrano. Rosa è una ragazzina di 17 anni, aggrappata ad un amore adolescenziale che, spera, la porti lontano, anche da un padre con cui non riesce a parlare. Gladys, circa quarant’anni, è tornata dal Venezuela con pochi soldi, è nubile, lavora ed ha abdicato a quasi tutti i suoi sogni. Fino a quando incontra Aldo che le fa credere alla possibilità di una vita nuova, ma è solo un’illusione. In un laboratorio sotto il livello stradale, senza finestre, vessate da un padrone che vorrebbe essere simpatico ed elegante, ma che è rozzo e manesco, Rosa e Gladys confezionano tessuti e tute sportive. Tutto per due euro l’ora. Sullo sfondo della vita del paese, tra i bar e i lavori precari, Rosa e Gladys sperano, ridono, amano. Un incendio divampato accidentalmente nella fabbrica le travolgerà. Le troveranno abbracciate. Solo una delle due ce la farà.
Basta leggere la sinossi di Due euro l’ora, liberamente ispirata a fatti realmente accaduti, per rendersi immediatamente conto di quale bagaglio di tematiche il film di Andrea D’Ambrosio si porti dietro: violenza sulle donne, sfruttamento e mancanza di sicurezza sul lavoro, crisi economica, disoccupazione, fuga all’estero dei giovani e chiusura mentale nei piccoli centri. E se ciò non fosse sufficiente, il regista partenopeo aggiunge un altro po’ di carne sul fuoco, che poi sono due pilastri dell’architettura narrativa, ossia i rapporti generazionali e quelli familiari. Il tutto va a confluire in uno script che rischia costantemente una saturazione drammaturgica; incidente che, grazie a una serie di manovre diversive messe in atto in fase di scrittura prima e soprattutto di montaggio poi, viene evitato. Ritmo celere della narrazione e catarsi nei confronti dei personaggi sono i salvagenti ai quali D’Ambrosio si aggrappa per impedire al peso sostanzioso di argomentazioni sollevate e di dinamiche innescate di mandare a picco la nave. Nave, questa, che tra mille difficoltà, limiti di differente natura e ostacoli vari, arriva comunque in porto. Qua è la si inciampa, infatti, su debolezze strutturali e ingenuità di scrittura che fanno tremare l’architettura, a cominciare proprio dalla trasposizione di alcuni eventi (l’incendio). E non stiamo parlando di resa tecnica, quella viene supportata a sufficienza da una regia che mostra una mano sicura, anche se non particolarmente eclettica e generosa per quanto concerne lo stile e le soluzioni visive proposte.
Il problema non è tanto quali e quanti tasti vengono toccati nell’arco della timeline, nemmeno come ciò avviene, piuttosto l’eccessivo afflato che caratterizza gran parte delle interpretazioni degli attori coinvolti, evidente soprattutto nell’enfatizzazione dell’impianto dialogico che è tipico di un certo filone melodrammatico partenopeo e più in generale campano. Peppe Servillo, nel ruolo di un duro e arrabbiato proprietario di un laboratorio tessile, è l’unico a dare un’impronta diversa alla sua recitazione, meno carica e più asciutta. Ed è questo, senza alcun dubbio, il motivo per il quale abbiamo preferito la sua performance a quelle degli altri membri del cast, comprese le due offerte dalle protagoniste, Alessandra Mascarucci e Chiara Baffi. Ciò non ha impedito però a quest’ultima di portarsi a casa il Premio Artisti 7607 per la migliore attrice protagonista al Bif&st 2016, dove Due euro l’ora si è aggiudicato anche il Premio Francesco Laudadio per il regista del miglior film della sezione Nuove Proposte.
Francesco Del Grosso