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Non dimenticarmi

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VOTO: 7

Re-esistere

Ci sono film che lasciano il segno e Don’t Forget Me (t.o. Al tishkechi Oti, per l’uscita italiana Non dimenticarmi) del regista israeliano Ram Nehari rientra tra questi. È come se quei sintomi che i protagonisti manifestano fisicamente, portando i segni su di sé del disturbo o della malattia di cui sono affetti (in altri casi son nascosti). Il lungometraggio inizia con dei quadri a camera fissa in cui ci vengono presentati i “personaggi” della storia con un humor kosher già a partire dalle didascalie. Subito dopo ci ritroviamo in un luogo topico, il centro che accoglie le ragazze con disturbi alimentari; il regista ci fa entrare dal corridoio nella ritualità del controllo effettuato sulle pazienti. Ascoltiamo la voce di una donna che le interroga («Movimenti intestinali? Ciclo?»), la vediamo uscire e rientrare in un’altra stanza con la meccanicità di chi si è assuefatto a quel compito, magari innalzando le “difese” per non farsi coinvolgere eccessivamente. La macchina da presa ci fa “spiare” una camera in cui dormono nel momento in cui entra in campo la co-protagonista, Tom (Moon Shavit), a cui è tornato il ciclo mestruale. «Quando il dottore le dice che è un buon segno perché significa che le sue condizioni stanno migliorando, sprofonda nel panico: l’idea di riacquistare i chili perduti la spaventa a morte. Sembrerebbe un giorno da dimenticare, ma l’incontro con Neil (Nitai Gvirtz), suonatore di trombone con qualche problema di socializzazione» (dalla sinossi), qualcosa muta in lei, probabilmente mettendo in crisi il cinismo che usa come auto-difesa e la sua stessa solitudine.
Don’t Forget Me è un’opera prima che strappa sorrisi, affrontando con leggerezza tematiche che ancora risultano dei tabù nella cosiddetta società del Terzo Millennio, facendo notare come lo siano in primis per le famiglie stesse. Nell’incontro tra Tom e i suoi, lo spettatore intuisce come l’educazione alimentare ricevuta – seppur mossa dall’affetto – possa aver condizionato la ragazza. Nehari è volutamente politicamente scorretto, pur proponendo il tutto con raffinatezza e umorismo sottile, stando lontano dalla trappola del moralismo. Restano impressi i volti, i corpi e le azioni dei giovani protagonisti, che vivono (forse) sull’orlo del precipizio fino a quando qualcosa scatta in loro e in attesa di qualcuno che li faccia sentire davvero ascoltati. Tom e Neil si annusano, si studiano, fanno dei voli pindarici per poi ritornare a guardarsi, o probabilmente imparando davvero a farlo. Non ci saranno epifanie per loro proprio come accade nella vita vera (salvo eccezioni) e non è un caso che, in parte, la tecnica iniziale nell’inquadrare tornerà alla fine, a chiusura del cerchio. Questo è Don’t Forget Me, tra i titoli che più ci ha conquistati del Concorso del 35esimo Torino Film Festival.

Maria Lucia Tangorra

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