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The Cured

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VOTO: 6.5

Si stava meglio quando si stava peggio

Sempre dal Toronto International Film Festival 2017 arriva l’altro zombie-movie della sezione After Hours della 35esima edizione del Torino Film Festival. Si tratta di The Cured di David Freyne che, a differenza di Les affamés di Robin Aubert, ha un dna molto più vicino ai classici del filone d’appartenenza.
Dalle campagne e dai boschi del Quebec della pellicola del collega canadese ci spostiamo nel Vecchio Continente, per la precisione in un’Irlanda sconvolta da un’epidemia che ha trasformato migliaia di persone in zombie autori di vere e proprie carneficine. La scoperta di una cura ha riportato alcuni dei colpiti alle condizioni normali, ma quando si tenta di reintegrarli nella società, dilagano ostilità e tensioni; perché i ricordi non sono stati cancellati e riaffiorano traumatici.
Nonostante ci troviamo al cospetto di un esempio tradizionale di zombie-movie, la lettura della sinossi e la successiva visione dell’opera prima di Freyne, dopo una lunga e proficua gavetta sulla breve distanza, ci rivelano l’esistenza nel progetto di The Cured di una piccola ma significativa variante, in grado di diversificarlo se non totalmente, almeno in parte, da quello al quale il filone ci ha abituato da molti decenni a questa parte. Il resto, invece, è normale amministrazione e richiama alla mente gli ingredienti imprescindibili della ricetta. Di conseguenza,
La variante proposta dal cineasta irlandese è di tipo drammaturgica e contribuisce a dare al suo film una chiave originale e in parte inedita, o quantomeno non particolarmente abusata. Ma entriamo nel merito. Nella stragrande maggioranza dei casi si assiste a una fuga per la sopravvivenza delle sacche di resistenza o a una lotta a tutto campo tra i morti viventi e i viventi che tentano di non diventare tali. Queste due ipotesi vengono entrambe percorse nel film. E poi c’è la ricerca della cura, quell’antidoto che potrebbe salvare l’umanità dalla definitiva estinzione. Ed è qui che The Cured prova in qualche modo a ritagliarsi uno spazio di originalità nella sterminata filmografia dedicata ai morti viventi, dove quest’ultimi sono stati portati sul grande schermo in tutte le salse possibili e immaginabili. Qui, come annuncia il titolo, la cura è già stata trovata e quelli che un tempo erano degli zombie ora sono tornati umani dopo un trattamento con un apposito vaccino. Per loro, però, inizierà una battaglia ancora più dura per il reinserimento nella Società. Alcuni potranno tornare nelle proprie case, altri invece ospitati in centri d’accoglienza molto simili a quelli dove nella vita reale vengono ammassati immigrati, profughi e richiedenti asilo. Ma su di loro peserà comunque il marchio di ciò che sono stati e delle carneficine delle quali si sono macchiati. Il “mostro” con il quale dovranno confrontarsi non è più quello che un tempo ospitavano nel proprio corpo, ma una creatura ancora più feroce e spietata, ossia l’essere umano.
Ora a memoria non ricordiamo molti film iscritti nel filone in questione dove si assiste al percorso inverso. Probabilmente ce ne sono, ma non sono poi così tanti. Per cui ci scusiamo se le nostre conoscenze a riguardo non sono sufficienti a rintracciare nella Storia del genere opere analoghe. Comunque sia, questa variante darà il là a una serie di stratificazioni e di chiave di lettura capaci di donare alla pellicola di Freyne una sostanza drammaturgica. Il messaggio che The Cured vuole trasmettere alla platea di turno è senza ombra di dubbio socio-politico e per trasmetterlo usa i codici oltre agli stilemi di un genere popolare come lo zombie-movie. Non è la prima volta che ciò viene messo in pratica e da questo punto di vista la produzione romeriana ha lasciato il segno. Ed è questa la nota positiva della pellicola del cineasta irlandese, della quale è meritevole di attenzioni anche la confezione. Quella di Freyne è un’opera che punta il dito contro quelle “differenze” che dividono invece di unire e contro la difficoltà della convivenza.

Francesco Del Grosso

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