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Disobedience

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VOTO: 7

Quando i dogmi cadono

Al centro del cinema realizzato dal cineasta cileno Sebastián Lelio – perlomeno nei suoi ultimi lavori come anche Una donna fantastica (2017) – c’è una figura simbolica femminile, declinata in svariati contesti sociali. Quasi l’esplorazione di un universo che il regista di Gloria (2013) ritiene quasi doveroso approfondire a cause delle molteplici sfaccettature in esso contenute.
In Disobedience Lelio – anche sceneggiatore con Rebecca Lenkiewicz – trae ispirazione da un romanzo in gran parte autobiografico di Naomi Alderman per proiettarci all’interno di una comunità ebraico-ortodossa nel cuore degli Stati Uniti. Dove un anziano Rav (sorta di Rabbino capo), dopo aver ribadito in una predica i capisaldi integralisti della religione professata, si accascia a terra vittima di un malore dal quale non si riprenderà. Una sequenza dal significato fortemente metaforico che troverà in seguito preciso riscontro nella geometrica costruzione narrativa del film. Tale evento innesta una serie di conseguenze, con in primis il ritorno a casa della figlia “ribelle” Ronit (Rachel Weisz), accolta dall’erede designato al ruolo spirituale Dovid (Alessandro Nivola), a sua volta da poco sposato con Esti (Rachel McAdams). Segreti inconfessabili del passato non tarderanno a manifestarsi, data l’antica passione che da sempre ha legato le due donne. La quale non sarà, prevedibilmente, ben vista in un ambiente così schematicamente rigido.
Con un andatura da melodramma imploso che potrà risultare ostica a molti, Disobedience “disobbedisce” anche in questo senso alle regole del lungometraggio glamour per dedicarsi invece alla dilatazione temporale di chi cerca in sguardi e silenzi una possibile verità. Risultano eccellenti, in quest’approccio minimalista, le ottime performance di Weisz e McAdams, magari meno a proprio agio nel recitare l’unica scena saffica del film, risultante alla fine piuttosto goffa e straniante. Un piccolo neo che non inficia un epilogo curiosamente all’insegna della speranza: mentre sarebbe stato facile alzare il picco d’attenzione con una tragedia della quale c’erano tutte le premesse, Lelio sceglie un’altra strada, con l’abbattimento dei dogmi da parte di Dovid e l’accettazione da parte sua di un’equazione insolita tra Fede e Libertà individuale. Un messaggio dalla valenza universale applicabile a tutte le religioni del mondo, la cui mancata ricezione da parte di tutti rappresenta ancor oggi uno dei più grandi limiti del consorzio umano.
Disobedience, al di là della sue qualità intrinseche, è riuscito a mettere la classica crepa sul muro dell’intolleranza integralista ed assolto assai bene il proprio compito ultimo; quello cioè di seminare il dubbio laddove allignano solo granitiche certezze. Agli spettatori attenti l’assai più arduo compito di trovare simili riscontri anche nella realtà di tutti i giorni, anche e soprattutto in ambiti non religiosi.

Daniele De Angelis

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