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Coup de chaud

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VOTO: 7.5

Il sole può dare alla testa

Nella rosa di titoli selezionali nel concorso della 33esima edizione del Torino Film Festival, da regolamento destinato principalmente a opere prime e seconde, con qualche wild card concessa di rado a terze prove in caso di film meritevoli, troviamo anche Coup de chaud. La terza fatica dietro la macchina da presa di Raphaël Jacoulot, dopo Barrage (2006) e Avant l’aube (2011), rientra di diritto fra quelle pellicole per le quali è giusto fare un’eccezione. Il film del regista francese approda così in anteprima italiana sugli schermi della kermesse piemontese, raccogliendo consensi da parte degli addetti ai lavori presenti. E non poteva essere altrimenti viste le qualità espresse dal film, in particolare sul versante della performance corale offerta dal nutrito cast a disposizione, dove figurano volti noti come Jean-Pierre Darroussin, Grégory Gadebois e Carole Franck, ma anche una nostra vecchia conoscenza che risponde al nome di Serra Yilmaz, attrice feticcio di Ferzan Ozpetek (da La finestra di fronte a Le fate ignoranti) e non solo. Sono, infatti, le loro interpretazioni a mantenere il film costantemente al di sopra della linea di galleggiamento della sufficienza, anche quando, come avviene con la prima parte, la scrittura fa fatica a farlo decollare. Ma quando ciò si verifica, ossia al raggiungimento del turning point, che coincide con l’esplosione dell’escalation di violenza nel paese, il tutto inizia a girare nel migliore dei modi e le performance davanti la macchina da presa si infiammano e infiammano lo schermo, portando alla ribalta un gruppo di attori in stato di grazia.
Ciò che dispiace è, dunque, questo lungo rodaggio necessario allo script per prendere coscienza di sé e delle sue enormi potenzialità drammaturgiche. Potenzialità che troveranno concretezza negli ultimi potentissimi minuti, quelli che inesorabilmente traghetteranno la storia e i tanti personaggi  verso un’inevitabile resa dei conti. Tra le maglie fitte delle sue dinamiche narrative sedimentano, per poi venire brutalmente alla luce sotto un sole cocente che non risparmia niente e nessuno, temi di estrema complessità che riguardano la Società in cui viviamo, una Società malata che cerca continuamente dei colpevoli da sbattere in prima pagina. Tema, quest’ultimo, di grandissima attualità, che negli ultimi decenni ha trovato libero sfogo nella “Tv del dolore”, ma che ha le proprie radici perse nei secoli dei secoli. In Coup de chaud sono il giustizialismo imperante e la diffidenza nei confronti dell’altro, del “diverso” da noi, visto a seconda della prospettiva e della posizione che si è scelto di prendere come la minaccia, il nemico di turno o la vittima da sacrificare sull’altare dell’opinione pubblica, i nodi centrali intorno ai quali ruota e si alimenta il plot.
Qui il sacrificio viene compiuto in nome del quieto vivere e per mano di gente comune in un paesino di campagna anonimo durante un’estate anomala, di quelle che rimangono nella memoria collettiva a causa di un caldo e di una siccità che potrebbero far perdere un intero raccolto. Quella che si abbatte sul paesino fa ardere l’asfalto, bruciare i campi, boccheggiare gli abitanti. La canicola è opprimente, genera tensioni e alimenta il malcontento, soprattutto verso una persona in particolare di nome Josef, un ragazzo con qualche disturbo comportamentale, di famiglia gitana, che ha tutte le caratteristiche per diventare il capro espiatorio sul quale sfogare la rabbia e le frustrazioni. In fondo è colpa sua se le cose vanno male. Se non ci fosse, sarebbe meglio. E quando ne viene rinvenuto il cadavere, è chiaro che qualcuno dalle parole è passato ai fatti. Con il ritrovamento della salma la storia cambia tono e registro, passando dal dramma al thriller, acquistando una nuova spinta propulsiva. E la mente tona a film come il sottovalutato Padroni di casa o allo strepitoso La quinta stagione.
Jacoulot parte da fatti realmente accaduti nella regione dove è nato, ma che per scelta ed esigenze drammaturgiche ha preferito cambiare di identità e di topografia. In fondo il paesino dove si verificano i fatti al centro di Coup de chaud potrebbe essere ovunque, con modus operandi, ideologie e chiusure tristemente universali, che ci mettono costantemente a contatto con il cuore di tenebra di ognuno di noi. È questo livello di catarsi a cui ci sottopone il film, insieme alla suspense crescente, il punto di forza di un’opera dove sono tutti e allo stesso tempo, ciascuno a proprio modo, vittime e carnefici, innocenti e colpevoli. Allo spettatore il compito più arduo, vale a dire quello di scegliere da quale parte stare.

Francesco Del Grosso

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