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Cortex

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VOTO: 5.5

Alla Nolan ma senza Nolan

Il passaggio di un attore dietro la macchina da presa avviene usualmente per due motivazioni: uno stimolo vanesio, per incrementare il proprio ego – personale e artistico – e avere il controllo su tutto; oppure per semplice necessità di confrontarsi con lo spietato mezzo che lo ha visto sempre sotto tiro, e poter mettere in immagini un progetto personale. Nel primo caso gli esempi si sprecano, e ci sono attori che hanno portato avanti parallelamente una carriera come regista, chiaramente con alti e bassi. Tra i tanti viene in mente il nostrano Alberto Sordi, che preso il vezzo della macchina da presa dopo il primo successo (Fumo di Londra, 1966), non ha più mollato questo ruolo proseguendo con film insulsi, che però erano monumenti egocentrici alla sua persona. Un valido esempio, invece, per il secondo caso, è stato l’esordio di Tim Roth con Zona di guerra (The War Zone, 1999), piccolo film familiare in cui Roth non vi appare e si dedica egregiamente alla messa in scena e alla direzione degli attori. Uno degli ultimi casi di attori che passano dietro la macchina da presa è il tedesco Moritz Bleibtreu che esordisce con Cortex (2020), presentato al Fantafestival 2021.

Moritz Bleibtreu, classe 1971, è un attore apparso già in oltre 90 opere, tra film per il cinema e serial televisivi. Un volto stranoto per gli smaliziati cinefili, che ne apprezzano la duttilità nel saper passare da genere a genere. Si è fatto notare con Lola corre (Lola rennt, 1998) di Tom Tykwer, per poi ritagliarsi anche buoni ruoli di sostanza in produzioni americane: Munich (2005) di Steven Spielberg, Speed Racer (2008) di Lana e Lilly Wachowski, World War Z (2013) di Marc Forster. Ha vinto l’Orso d’oro come miglior attore a Berlino con Le particelle elementari (Elementarteilchen, 2006) di Oskar Roehler, e ha anche recitato nelle pellicole nostrane La masseria delle allodole (2007) di Paolo e Vittorio Taviani, Vallanzasca – Gli angeli del male (2010) di Michele Placido e Le confessioni (2016) di Roberto Andò. Fecondo anche il suo sodalizio con il regista Fatih Akin: Im Juli (2000), Solino (2002), Soul Kitchen (2009), Il padre (The Cut, 2014). Per il suo debutto registico Bleibtreu ha fatto chiaramente tesoro di questo lungo e variegato percorso, ma ha soprattutto attinto, come farebbe un cinefilo dal cinema visionario e cerebrale di Christopher Nolan. Cortex, sceneggiato da lui stesso e in cui si appropria anche del ruolo di protagonista, sembra quasi voglia essere un tassello dell’opera personale del regista londinese, recuperandone pedissequamente lo stile. Se da un lato la resa visuale è intrigante e collima perfettamente con il modello nolaniano, dall’altro c’è una grossa imperfezione a livello di scrittura, troppo arzigogolata, facendo perdere il filo a uno spettatore poco scaltro a questo tipo di narrazioni. Il pregio maggiore di Cortex, per tanto, risiede nel vorticoso montaggio, curato da Jan Ruschke, che antecedentemente ha montato pellicole più “mainstream” e alla malsana fotografia di Thomas W. Kiennast, anch’esso in precedenza direttore della fotografia di prodotti più di consumo.

Roberto Baldassarre

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