Il monaco bianco
Come sempre gli accade, il cinema di Roberto Andò si muove su un duplice registro. Non fa ovviamente eccezione nemmeno questa sua ultima fatica, dal criptico titolo Le confessioni. Un’opera senza dubbio intellettualmente stimolante dove la fotografia del reale si intreccia, in maniera pressoché inestricabile, con un grado di surrealtà talvolta caricato di profonda drammaticità o più spesso permeato da quella fredda e sferzante ironia che rappresenta un po’ il marchio di fabbrica dell’autore palermitano. Il quale, se non avrà mai la carica eversiva di un Marco Ferreri, tuttavia dimostra una volta di più di possedere una cifra stilistica capace di renderlo autore prezioso nell’asfittico panorama del cinema italiano.
Giorni nostri. Il geniale presidente del Fondo Monetario Internazionale Daniele Roché (Daniel Auteuil) convoca in un grande complesso alberghiero in Germania un summit straordinario per tentare di prendere le necessarie contromisure in vista di una terribile crisi economica immanente. Oltre agli economisti di tutto il mondo, arrivano come ospiti anche un misterioso frate italiano, scrittore ed ex matematico, Roberto Salus (occhio al cognome) e la scrittrice di best seller per l’infanzia Claire Seth (la brava e fascinosa Connie Nielsen), sul posto per dare una verniciatura culturale al tutto. Dopo aver spartanamente festeggiato il proprio compleanno, la notte stessa Roché invita Salus (un Toni Servillo perfettamente in parte, come di consueto) nella sua camera, allo scopo di confessarsi. Le cose però sono destinate a complicarsi quando, al mattino dopo, Roché stesso viene trovato morto con un sacchetto di plastica sulla testa. Omicidio o suicidio? Il giallo non si rivela tale a lungo, ma fornisce ad Andò lo spunto narrativo per focalizzare la propria attenzione sulle tematiche assolutamente pregnanti affrontate lungo l’intera durata de Le confessioni. In primis la questione etica di un approccio morale all’economia globale. Sotto questo punto di vista, benissimo sintonizzato sulle frequenze di una realtà difficilmente decifrabile per i comuni mortali, il film pone interrogativi quintessenziali nel rapporto tra asettica burocrazia e masse popolari, su quanta distanza intercorre tra l’economista che ha in mano i destini del mondo e coloro che dovranno inesorabilmente subire il peso di tali decisioni. Rinchiusi nel non luogo dello sterminato hotel – location simbolica ormai centrale nel cinema italiano, dopo l’utilizzo da parte di Paolo Sorrentino ne Le conseguenze dell’amore e soprattutto Youth – La giovinezza – i papaveri del sistema economico mondiale mostrano tutta la loro fragilità, una volta privati della loro guida tecnica ed in balia di un uomo, Salus, che temono possa conoscere i più reconditi segreti di un piano economico da “lacrime e sangue” messo a punto per salvare l’economia capitalistica, dei quali il monaco potrebbe essere venuto a conoscenza attraverso il sacro istituto della confessione. Ed è proprio quando si tratta di alzare il livello delle ambizioni, intavolando un discorso universale poiché onnicomprensivo sui massimi sistemi che regolano il precario equilibrio economico mondiale, che il lungometraggio di Andò vacilla sotto il suo stesso peso. La retorica umanista della filosofia keynesiana – di per sé del tutto condivisibile ma in contesti del tutto differenti – comincia a far capolino e la sovrapposizione “francescana” tra la figura del monaco certosino Salus e l’attuale Papa, peraltro suggellata da un epilogo beffardamente riuscito, assume toni un po’ troppo invadenti nell’ambito del racconto.
Nonostante questi, non trascurabili, difetti Le confessioni funziona come ameno racconto (im)morale sul mondo in cui viviamo, apologo su una società a carattere oligarchico che rinnega pervicacemente un ritorno alla semplicità dei valori nel nome di un miraggio difficile da estirpare chiamato insopprimibile sete di Potere. Un’onnipotenza sfrenata che, una volta raggiunta, non può far altro che condurre alla morte, per sazietà da appagamento e impossibilità di andare ancora oltre un ben determinato gradino. Concetto che risulterà chiaro quando, in flashback, il film svelerà il segreto della presunta confessione di Roché a Salus. Allora solo la fede – per chi ce l’ha – e l’ironia – idem – potranno essere considerate le uniche armi pronte ad essere usate come estrema forma di resistenza di fronte ad un mondo circostante la cui virtualità va frantumandosi sotto il nostro stesso, inconsapevole o impotente, sguardo.
Daniele De Angelis