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VOTO: 8

Esiliati nello spazio profondo

In una edizione di Science + Fiction 2015 il cui livello è parso, finora, di qualità medio-alta, si era sentita comunque una mancanza: grande assente la fantascienza propriamente detta, in particolare quella incentrata sui viaggi spaziali, sulla colonizzazione di nuovi mondi, sul contatto con civiltà aliene.
Forse perché tali film sono tra i più difficili da realizzare, sul piano produttivo. In ogni caso le piacevoli scoperte effettuate in questi giorni a Trieste rimandavano perlopiù a differenti sfumature del fantastico, dal post-apocalittico al mockumentary, dall’horror alla sperimentazione pura.
Se la science fiction vera e propria si è fatta attendere un po’, non appena questo ruolo di “convitato di pietra” è venuto meno notevolissimo è stato, per il festival, l’impatto del film russo ambientato in un mondo lontano e fondamentalmente ostile. Quasi a compensare il “digiuno” delle precedenti giornate, è giunto quindi Calculator del giovane e brillante Dmitriy Grachev a vivacizzare, in tutti i sensi, il sabato sera. Da un lato le insospettabili doti di showman del film-maker russo, capace di intrattenere il pubblico con uno humour a tratti irresistibile e di trasformare così in una folgorante, improvvisata masterclass ciò che doveva essere, in teoria, un ordinario Q&A; e a seguire il suo lungometraggio, visivamente e narrativamente potente, del quale andremo ora a parlare.

In Calculator si suppone che l’umanità abbia infine abbandonato il Sistema Solare per colonizzare pianeti lontani, riorganizzandosi pertanto in una federazione di mondi regolata, di massima, da principi democratici e di pacifica convenienza. Fa eccezione il remoto e inospitale pianeta, nel quale un’unica e ipertecnologica città sopravvive circondata da zone desertiche e mefitiche paludi dove hanno la loro dimora alcune creature, spaventose e letali. Gli abitanti di tale corpo celeste, dal paesaggio inquietante di suo, hanno accettato di vivere secondo un sistema più autoritario, che in caso di infrazioni li sottopone a punizioni crudeli: non la pena di morte, formalmente proibita, ma essere esiliati con pochi viveri in quelle terre selvagge dove, a parte il miraggio di approdare prima o poi alle fantomatiche e forse inesistenti Isole Felici, la prospettiva più concreta resta quella di scannarsi tra loro o di finire divorati da orribili mostri.
Il plot si accende proprio con l’avventurosa deportazione cui va incontro una decina di detenuti, tra i quali vi è anche la protagonista e voce narrante del film. Il primo motivo di interesse è lo scontro di personalità tra Just van Borg, un criminale incallito dall’aria cinica e rude (interpretato peraltro con la giusta fisicità dall’ex calciatore Vinnie Jones), e lo scaltro ma decisamente più sofisticato Erwin Kahn, che ben presto scopriremo essere un consigliere personale, ormai pentito e perciò caduto in disgrazia, dello spietato Presidente di quel pianeta.

Il merito maggiore di Dmitriy Grachev (già direttore della seconda unità nel kolossal Stalingrad 3D), per ciò che riguarda la conduzione del coinvolgente e crudo racconto, è quello di aver rispettato gli standard della miglior fantascienza di provenienza hollywoodiana riguardo all’azione, alle soluzioni spettacoli, mantenendo però un’anima profondamente russa nella caratterizzazione dei personaggi. Tale è ad esempio la resa del contrasto tra natura maschile e natura femminile, contrasto ben esemplificato dal rapporto tra i due protagonisti, che passano di continuo da reciprochi sospetti a momenti di attrazione fisica e a un afflato romantico, che quasi salva la loro umanità allorché il paesaggio degradato e il susseguirsi di orribili accadimenti sembrerebbe levar loro la speranza.
Sì, perché nel frattempo il resto della compagnia viene spazzato via, poco alla volta, dall’accanirsi di quei militari lanciatisi proditoriamente all’inseguimento e dall’orrendo apparire  di creature aliene che spuntano fuori all’improvviso dal terreno, tanto da ricordarci,  per il loro modus operandi, analoghi mostri visti all’opera in Dune e in Tremors.
Avventura, sentimento ed orrore vanno quindi a sovrapporsi in questo mix godibilissimo di imprese nello spazio profondo, a ridosso di uno scenario alieno sapientemente ricostruito tra interni moscoviti e altre due settimane di riprese (tempi record, quindi) effettuate in Islanda, sfruttando la brulla natura dell’isola. E all’autore va inoltre riconosciuta una certa arguzia, nell’aver messo a fuoco verso la fine una morale politica amara, beffarda, senz’altro realistica, coerente in questo con la sentita e condivisibile sfiducia nelle classi dirigenti attualmente al potere.

Stefano Coccia

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