L’incontro tra due mondi
L’indipendenza e la felicità a tutti i costi. Il coraggio di dire “no” e di prendere finalmente in mano le redini della propria vita. Due culture, due tradizioni, due mondi apparentemente molto distanti l’uno dall’altro che, incontrandosi, potrebbero dar vita a una bellissima armonia. In Black Tea, ultima fatica del regista Abderrahmane Sissako, presentata in corsa per l’ambito Orso d’Oro alla 74° edizione del Festival di Berlino, viene messo in scena tutto ciò partendo da un fortissimo potenziale e in modo visivamente accattivante. In poche parole, sulla carta c’è veramente tutto affinché tale opera possa dirsi pienamente riuscita. Sarà stato, dunque, il risultato finale degno di nota? Presto detto.
In Black Tea, viene messa in scena la storia della trentenne Aya (impersonata da Nina Mélo), la quale, proprio il giorno del suo matrimonio, decide di lasciare il suo fidanzato sull’altare, dal momento che il giorno prima aveva scoperto che quest’ultimo l’aveva tradita. Dopo aver lasciato la Costa d’Avorio ed essersi trasferita in Cina, la donna inizierà a lavorare presso un negozio di te, divenendo sempre più affascinata dall’arte del servirlo e del prepararlo. A tal fine, Cai (Chang Han), il suo datore di lavoro, si offrirà di darle delle lezioni private in merito. Tra i due nascerà ben presto un sentimento più profondo, ma quanto peso avrà il passato di entrambi sulla loro relazione?
Il presente Black Tea, dunque, si distingue innanzitutto per una forte, fortissima cura visiva. Tutti i personaggi sono esteticamente talmente perfetti da sembrare quasi irreali. I loro variopinti costumi, i loro gesti, le loro diverse tradizioni vengono osservate con riverenza dalla macchina da presa di Sissako. Con una messa in scena che, in particolar modo per quanto riguarda i momenti in cui la protagonista apprende l’arte del te, ricorda in tutto e per tutto la tradizione orientale, il regista ci ha regalato momenti di pura bellezza in cui spesso non v’è bisogno di molte parole affinché gli stessi possano arrivare al pubblico in tutta la loro potenza. Sarà stato sufficiente tutto ciò, tuttavia, a rendere questo Black Tea decisamente riuscito? Purtroppo, non proprio.
Se, infatti, da un lato non possiamo far altro che apprezzare la grazia con cui la storia dei due protagonisti viene messa in scena, dall’altro non possiamo non notare come una pericolosa retorica tenda spesso a prendere il sopravvento. E ciò riguarda, nello specifico, sguardi in macchina prevedibilissimi, canzoni cantate di punto in bianco dalla protagonista, frasi non dette proprio nel momento in cui ci si aspetta il silenzio e persino situazioni (riguardanti in particolare gli ultimi momenti del film) che vorrebbero essere fortemente paradossali, ma che finiscono inevitabilmente per sgonfiarsi come un palloncino, rivelandosi, a volte, anche involontariamente comiche. Peccato, dunque, che determinate scelte didascaliche abbiano fatto perdere così tanti punti a un lungometraggio dal potenziale indubbiamente forte. Abderrahmane Sissako ce l’ha messa davvero tutta a rendere questo suo Black Tea un lavoro impeccabile. Sarebbe semplicemente bastato essere meno naïf.
Marina Pavido