Scorci di periferia
Se pensiamo a una corrente cinematografica come il Neorealismo, notiamo come l’Italia, a suo tempo, abbia fatto letteralmente scuola in tutto il mondo. Eppure, malgrado la breve durata di tale corrente, vi sono stati numerosi autori che, a loro modo, hanno proseguito la strada del cinema-verità, raccontandoci per immagini scorci di vita ambientati principalmente all’interno delle borgate e dei quartieri popolari romani. E se, su tutti, in tale ambito, spicca la figura di Pier Paolo Pasolini, al giorno d’oggi vi sono altri interessanti nomi che stanno a raccontarci, ognuno a modo proprio, tale affascinante realtà. Tra di loro, ad esempio, non possiamo non notare Stefano Calvagna, operante nel settore underground già da diversi anni, il quale, a un anno dall’uscita in sala del pregevole Cattivi & Cattivi, ha dato vita a Baby Gang, mettendo in scena le vicende di un gruppo di adolescenti romani alle prese con furti, rapine, spaccio di droga, contraffazioni di carte di credito e persino con attività di prostituzione minorile.
La particolarità di un lungometraggio come Baby Gang – ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti – è quella di essere stato realizzato senza sceneggiatura, ma soltanto mediante una storyline e indicazione dettate giornalmente da Calvagna stesso, con giovanissimi attori non professionisti, proprio come i ragazzi di strada di pasoliniana memoria. Le intenzioni iniziali, dunque, erano quelle di rendere il tutto il più possibile vicino al vero, al reale. E la cosa, di fatto, può dirsi ampiamente riuscita.
Una macchina da presa utilizzata rigorosamente a mano, dunque, sta a rendere ancor meglio l’idea della vicinanza del regista nei confronti delle storie messe in scena, per un lungometraggio corale di non facile realizzazione che, malgrado, appunto, la sua stessa complessità, sa ben tracciare un affresco di un mondo con il quale tutti noi conviviamo a stretto contatto e all’interno del quale i protagonisti rappresentati – e capitanati dagli ottimi Daniele Lelli e Raffaele Sola – risultano estremamente veri, duri nella loro determinazione al fine di raggiungere un futuro migliore, ma anche, paradossalmente, incredibilmente teneri nella loro giovane età, nelle loro piccole ingenuità – che a tratti stridono con la loro crescita precoce – per un’adolescenza in cui appena lontano si sentono gli echi di un’infanzia appena passata.
Eppure, malgrado tali aspetti, Baby Gang non esita a mostrarci scene decisamente violente, momenti in cui i pugni e i calci tirati durante le risse hanno un suono sordo e crudo e, non per ultime, improvvise sparatorie che arrivano allo spettatore come un pugno allo stomaco. D’altronde, la vita di queste baby gang vede anche – e soprattutto – momenti del genere. E Stefano Calvagna, dal canto suo, è riuscito perfettamente a caratterizzare un mondo così ricco di contraddizioni, ponendosi in modo mai giudicante, ma rivelando, al contrario, uno sguardo paterno e affettuoso nei confronti di questi giovani protagonisti.
Se, dunque, a suo tempo, l’indimenticato Claudio Caligari ha pure realizzato lungometraggi di simile impronta rivelatisi tra i prodotti maggiormente interessanti delle passate stagioni cinematografiche, Stefano Calvagna non è da meno e il suo Baby Gang risulta un gradito e riuscito mix tra violenza e tenerezza, con persino un tocco di ironia e di lirismo al proprio interno. Indimenticabile, a tal proposito, il flashback finale, in cui i ragazzi, in macchina, ascoltano spensierati la canzone Tutto il resto è noia, del compianto Franco Califano, anch’egli, a suo tempo, celebrato da Calvagna nel 2014 in Non escludo il ritorno.
Marina Pavido