La saga di Gulli il pescatore
Saga è una delle due parole islandesi affermatesi a livello internazionale. L’altra è geyser.
Le Saghe degli islandesi sono il corpus letterario più significativo prodotto da quella piccola isola all’estremo nord. Il loro scopo principale fu probabilmente di fornire un retaggio, un’identità nazionale ad un popolo di coloni giunto all’isola del ghiaccio e del fuoco dalla Scandinavia.
Ancora oggi le Saghe costituiscono il centro dell’identità e cultura islandese e ogni abitante dell’isola ne conosce quantomeno le più importanti. La loro struttura ancora oggi sembra influenzare gli islandesi nel loro modo di affrontare ed elaborare gli eventi. Pensiamo al Campionato europeo di calcio del 2016 o alla vicenda del pescatore Guðlaugur Friðþórsson, sopravvissuto per ore nelle acque gelide del nord atlantico nel Marzo 1984.
Baltasar Kormákur, importante regista islandese che ha fatto del rapporto tra l’uomo e una natura ostile uno dei topoi del proprio cinema, sceglie di calarsi nell’alveo tracciato da generazioni di islandesi prima di lui per narrare – in The Deep – proprio l’episodio di Friðþórsson, il quale è oramai diventato una delle leggende del popolo islandese.
In uno stile molto nordico, molto scandinavo, nel quale si evita il facile patetismo e la ricerca del sensazionalismo, nel quale la forza drammatica della vicenda viene fatta filtrare attraverso il rigore della narrazione, Kormákur canta la saga del pescatore. In questo cinema freddo solo in apparenza, come l’Islanda del resto, che sotto il suo manto ghiacciato vede covare il fuoco dei vulcani, la camera è spesso in disparte, osserva mantenendo le distanze. Il regista riprende quelli che sono pescatori, ma ce li mostra come se fossero soldati diretti al fronte, con tutti gli stilemi che questo tipo di racconto può comportare, dalla notte di festa precedente la battaglia, ai rapporti sentimentali lasciati indietro, alla preparazione. Anche se è una storia minima, dunque, o almeno è così che può apparire ad un non-islandese, assume una dimensione di grande racconto popolare venato da un afflato epico. A chi proviene dal Mediterraneo può riportare alla mente invece quello che è uno dei testi più noti e fondanti la nostra identità, l’universale “Odissea” di Omero.
Attira poi l’attenzione la scelta di mostrare i ricordi e le sequenze oniriche in un formato 16 millimetri; il formato delle vecchie macchine da presa casalinghe, usate per registrare gli eventi interni della famiglia: feste, matrimoni, vacanze, ecc. Quasi a volerne rimarcare il carattere intimo ed il loro ruolo nella costruzione di un’identità, personale o comunitaria.
Questo è un film fatto da islandesi per gli islandesi e ciò favorisce la sua identificazione come nuovo mostrarsi dello spirito delle antiche saghe. Non c’è dunque bisogno di tante parole o spiegazioni, poiché, essendo una saga islandese, per gli islandesi è facile capire. Sono gli altri a non capire e a dover fare uno sforzo per comprendere l’importanza di questa che, altrimenti, appare una vicenda come a milioni se ne sono verificate nel corso dei secoli, la storia di un sopravvissuto ad un naufragio.
Luca Bovio