Casa di bambola
L’opera di Ibsen, ovviamente, non c’entra nulla. Del resto non sarebbe stato certo necessario scomodare il celebre drammaturgo norvegese per realizzare un prequel migliore dell’originale. Infatti Annabelle 2 è sicuramente molto più riuscito – non è che ci volesse granché – del primo film sulla bambola maledetta, a propria volta partorito da una significativa costola della saga di The Conjuring orchestrata dal talentuoso James Wan.
Come recita il titolo originale, ovvero Annabelle: Creation, il lungometraggio stavolta affidato allo svedese d’importazione statunitense David F. Sandberg sposta indietro le lancette del tempo, riportandoci alle origini della possessione demoniaca dell’inquietante bambola. Ci racconta del suo creatore e della sua serena, con qualche ombra, vita famigliare in una grande fattoria. Sconvolta d’improvviso dalla perdita della propria bambina, tragicamente investita da un’auto. Anni dopo la tragedia, l’uomo (un giustamente corrucciato Anthony LaPaglia), timorato di Dio, decide di ospitare nella sua capiente abitazione le giovanissime ospiti di un orfanotrofio femminile devastato da un incendio, guidate dalla piacente e un po’ distratta suor Charlotte. Come da convenzione, la più piccola e indifesa – perché impedita al movimento da un serio problema fisico ad una gamba – verrà presa di mira dalla presenza maligna che aleggia nella casa.
Tralasciando volutamente il benché minimo approfondimento di un qualsiasi sottotesto presente in nuce nel film – ad esempio l’estremismo religioso della coppia ospitante, oppure una visione della bambola come feticcio sostitutivo di affetti assenti per le piccole orfane – questo Annabelle 2 risulta alla fine, nella sua medietà, una sorta di riuscita compilation di sequenze da brivido, non però supportate da una narrazione sufficientemente strutturata e perciò adeguata. C’è lo spirito vendicativo dall’aldilà, ci sono le potenziali vittime e per la sceneggiatura, ancora realizzata da quel Gary Dauberman già artefice del primo film, è più che abbastanza.
In tutta evidenza segnato dal fallimento della sua prima esperienza americana – il tutt’altro che riuscito Lights Out – Terrore nel buio – il regista Sandberg ricorre, per questa sua seconda prova, ad uno stile in tutto e per tutto simile a quello del “nume ispiratore” James Wan, per l’occasione ancora relegato a ruoli produttivi come nel primo episodio. Il risultato è un prodotto altamente curato a livello formale, denso di jump scare per la gioia di un pubblico adolescenziale ansioso di farsi mandare di traverso i popcorn o le bibite allegramente consumati in sala e tuttavia incapace (il film) di compiere quel fatidico passo avanti verso la definizione di autentico horror adulto. Se con i vari Insidious e The Conjuring James Wan è sempre riuscito ad appassionare utilizzando trame puntigliosamente strutturate, in Annabelle 2 il plot viene dato come servizio scontato e dunque opzionale; l’importante per il pubblico pagante, si suppone, è per l’appunto sapere l’identità della (poco) misteriosa presenza dietro la bambola e soprattutto i modi in cui attuerà la terribile vendetta, le cui motivazioni restano peraltro abbastanza oscure e dunque opinabili. Ma tant’è: gli spazi dell’enorme magione sono sfruttati con abilità, i timori epidermici aleggiano a profusione, la saldatura narrativa con il film precedente nell’epilogo risulta assolutamente credibile e ai fan entusiasti che definiranno Annabelle 2 “un horror che punta al sodo senza troppi orpelli” sarà impresa assai ardua dar loro torto.
Anche la torrida estate 2017 può dunque contare sui suoi bravi brividi per alleviare l’insopportabile calura.
Daniele De Angelis