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Ozark

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VOTO: 7.5

Quella casa nel lago

Martin è un consulente finanziario. Assieme al suo collega Bruce gestisce il denaro di moltissimi clienti di Chicago, ottenendo ottimi risultati e una nomea di tutto rispetto nel campo economico. Il suo compito è il semplice calcolo, tant’è che la parte più spinosa, quella burocratica, passa sempre da lui. Non c’è nessun trasferimento che prima non riceva il suo assenso o, semplicemente, la sua attenzione. È proprio la sua precisione nella distribuzione legale di grossi budget che attiva uno dei più grossi cartelli del narcotraffico messicano. Del, l’intermediario dell’organizzazione criminale, si accorge di Martin e gli propone un accordo: riciclare il capitale della cocaina, dell’eroina e di ogni altro tipo di attività illegale attraverso la sua invettiva e le sue capacità di smistare il denaro nei vari paradisi fiscali. Tutto sembra filare liscio, fino a quando il clan nota qualcosa di strano nei conti, costringendo il contabile a un gesto estremo: scappare con la famiglia verso il Missouri, nel lago di Ozarks. Difficile liberarsi dalla presa della malavita. L’uomo, infatti, per mantenere in vita i propri cari, ha convinto i vertici messicani che è possibile ripulire 8 milioni di dollari in una landa innocua che si accende solo nelle giornate che avvicinano il 4 luglio, la data che decreta l’indipendenza degli Stati Uniti. L’apparenza, solitamente, inganna, ma l’invettiva e la razionalità di Martin rende possibile qualunque cosa, anche investire del denaro del cartello in un posto dimenticato da Dio. Ma qualunque azione ha, purtroppo, un prezzo da pagare.

Uno degli argomenti ricorrenti sulle serie tv riguarda il calo qualitativo delle produzioni originali Netflix. Spesso si afferma che questo è visibile soprattutto in riferimento alle recenti uscite, che non riescono a ottenere il successo aspettato, mentre a trainare l’aumento dei nuovi utenti sono i cosiddetti “classici”, i fiori all’occhiello come House Of Cards, Narcos e Orange is the New Black. Il discorso è davvero complesso, dal momento che non sempre il catalogo offre racconti in grado di raggiungere i livelli sperati. Tuttavia per Netflix lo scopo è saper comprimere in un unico prodotto seriale il carattere originale di una storia e l’effetto virale che questa può avere sul pubblico. Uno degli esempi più eclatanti è Stranger Things, The Crown e Tredici, serie tv che hanno certamente funzionato grazie al connubio di questi aspetti, contrariamente ad altre come Girlboss, The Get Down e Sense8, che non hanno saputo ottenere l’equilibrio giusto tra questi due poli (o, nel caso estremo, non si sono nemmeno avvicinati a uno di questi). Quando a mancare è il passaparola del pubblico, l’unico parametro a decretare la riuscita (da non confondere con successo) di una serie è che la storia colpisca sia in superficie, con la parte visiva, sia nel profondo, con la parte specificamente dedicata al contenuto.

Ozark appartiene a questa categoria; una serie che non è destinata a esplodere per quanto riguarda la quantità di spettatori, ma che gioca con chi l’osserva mettendo in discussione le proprie certezze. La mancanza di un intro in grado di identificare ciò che si sta guardando viene in pratica sostituita dalla iniziale del titolo che coincide con il lago, la “O” che in ogni episodio viene riempita da degli oggetti simbolici che appariranno in quell’arco narrativo. In questo contesto gelido, in alcuni casi spento grazie all’uso di una fotografia maggiormente orientata sui colori freddi, la famiglia Byrde si immerge mettendo in stallo i loro tormenti. I problemi sono altri, e non riguardano la crisi matrimoniale tra Martin e Wendy e la capacità di integrarsi dei figli Charlotte e Jonah. La posta in gioco è più alta, e riguarda la vita stessa dei protagonisti, che hanno pochissimo tempo a disposizione per lavare i panni sporchi del cartello. Bisogna mettere da parte gli impulsi, l’emotività, e usare solo la mente, la tattica, o, perché no, l’inganno. In un terreno spigoloso e irregolare come il riciclaggio, le regole non sono quelle del mercato legale. È necessario sporcarsi le mani, osare, rischiare per mantenersi in piedi e non cadere nel vuoto più profondo.

L’immagine perfetta del personaggio di Martin è in effetti quello dell’equilibrista, che deve camminare su un filo teso e sensibile a qualsiasi movimento imprevisto, con l’unica differenza che alle estremità ci sono, da un lato, i grossi esponenti del clan messicano, e dall’altro i conoscenti, i colleghi e, non per ultimi, i familiari. Qualsiasi mossa non passa inosservata, perché a sentirne gli esiti è proprio chi si trova in mezzo, il protagonista interpretato da Jason Bateman, qui anche nelle vesti di regista. Lo dice lo stesso Del, il narcotrafficante che ha assoldato Martin in questo difficile compito, citando la teoria del caos comparsa sul grande schermo grazie al matematico Ian Malcolm in Jurassic Park. Ogni piccolo atto può, infatti, condizionare in maniera cospicua gli esiti su grande scala; una legge che contrasta lo schema concettuale nel quale opera Martin, dove il controllo dei numeri e dei conti equivale a restringere i rischi e gli effetti dettati da cause esterne, nel lavoro come nella vita quotidiana. La realtà è tuttavia più complicata. Nemmeno la casa sulla riva del lago, che spesso simboleggia l’intimità e la protezione dall’esterno, sembra essere immune, ma diventa parte attiva di un processo che cambia notevolmente la percezione di chi ci abita. La moglie, interpretata da Laura Linney, sembra subire più di tutti l’inquietudine e l’oscurità di quel casolare, avendo il carattere più istintivo rispetto all’asettico Martin. Non è tuttavia l’unica a essere influenzata dal luogo circostante, poiché anche i figli, oltre ai personaggi che ruotano attorno al marito come Ruth, la ragazza dai riccioli d’oro ma che ha dovuto crescere subito per ottenere rispetto dalla sua famiglia, l’agente dell’FBI Roy, il pastore cristiano Mason e il coltivatore di eroina Jacob, sono in qualche modo stregati dall’aria che si respira attorno al lago, che li porta a commettere scelte a volte estreme. Non è dunque possibile gestire solamente con la ragione la mutabilità dell’individuo, con le incertezze, le vulnerabilità e i passi falsi che si commettono quotidianamente, perché a venire meno è il tatto e la sensibilità verso la realtà, con il rischio effettivo di sprofondare e raggiungere il fondo.

Ozark è un thriller carico di tensione e capace di caratterizzare in maniera graduale e completa ciascun personaggio in scena, mostrando che in queste 10 puntate non esiste una rappresentazione ideale di bene e male, ma sussistono solo le opportunità. Prendere o lasciare.

Riccardo Lo Re

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