Tra la povera gente di Sabra e Shatila
Anche sul fronte documentaristico la quindicesima edizione dell’Irish Film Festa non sta tradendo le aspettative. Numerosi, finora, i documentari che hanno brillato, sia per la scelta di tematiche di spessore che per l’approccio visivo. E tra i lavori più potenti visti alla Casa del Cinema vi senz’altro In the Shadow of Beirut, immaginifico ponte tra la verde isola e la martoriata terra del Libano.
Proiettato sabato 6 luglio nel primo pomeriggio, tale documentario è opera di due cineasti dai trascorsi alquanto differenti: stando a ciò che abbiamo appreso Stephen Gerard Kelly è il primo ad aver preso contatto con la dura realtà libanese, essendosi trasferito a Beirut già nel 2015 per motivi sentimentali; al progetto di girare un film nei quartieri così sofferenti e difficili di Sabra e Shatila, concretizzatosi poi nell’arco di quattro anni (tra il 2018 e il 2022), si poi unito il più esperto Garry Keane, originario del Donegal, la cui precedente attività registica aveva portato alla realizzazione di svariati documentari snodandosi per oltre un ventennio tra Londra, New York e l’Irlanda.
“Contro i massacri di Sabra e Shatila / Contro i folli martiri dell’Ira”. Curiosamente a instaurare un rapsodico legame tra i traumi vissuti negli scorsi decenni sia dal Libano che dall’Irlanda stessa vi sono i versi, depositati da tempo nella nostra memoria, di una bella canzone dei Nomadi datata 1993. In “Contro” la voce struggente di Augusto Daolio legava tra loro tanti drammi della contemporaneità, tra i quali per l’appunto la questione nordirlandese e il ricordo ancora fresco dell’agghiacciante massacro compiuto nei campi profughi di Sabra e Shatila, periferia ovest di Beirut, allorché nel settembre 1982 le famigerate Falangi cristiane maronite (con la complicità di Israele, come ricordato anche nel visionario, dolente Valzer con Bashir di Ari Folman) irruppero in tali quartieri massacrando indiscriminatamente uomini, donne e bambini.
Oggi in Libano non c’è più la guerra civile, ma i problemi sociali e politici non mancano certo. Da tempo a Sabra e Shatila si è tornati a vivere. Ma forse sarebbe più corretto dire “sopravvivere”, considerando che tra povertà diffusa, precarie condizioni igieniche e abitative, micro-criminalità e tensioni di natura socio-politica la vita lì può apparire un girone infernale; una vera e propria gara di resistenza, cui partecipano i discendenti di quei profughi palestinesi, i nuovi profughi giunti dalla Siria e gli strati più deboli e marginali della stessa popolazione libanese, compresi quei nomadi chiamati qui Dom.
Con empatia pari soltanto all’ispirazione dietro la macchina da presa, il direttore della fotografia Stephen Gerard Kelly e il sodale Garry Keane hanno scelto di seguire quattro famiglie di origine diversa e con problemi diversi ma ugualmente drammatici da affrontare. Ogni singola storia ti entra nel cuore. Tragicamente, a volte, ma con una dignità di fondo che lascia anch’essa un segno profondo.
Altrettanto curato e animato è lo “sfondo” di tali racconti, fatto di riprese vertiginose lungo le stradine sporche, nelle case “sgarrupate” e persino sui tetti di Sabra e Shatila, ma con un orizzonte degli eventi che va a collocarsi anche più lontano: dolente è infatti il ricordo della terrificante esplosione avvenuta pochi anni fa nel porto di Beirut, esplosione che oltre a causare una miriade di morti, feriti gravi e case distrutte ha rappresentato l’incipit di una crisi economica e sociale i cui contraccolpi sono sempre più devastanti.
Stefano Coccia