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America Latina

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VOTO: 4

Un mondo perfetto?

Tra i nomi che, negli ultimi anni, maggiormente hanno attirato l’attenzione all’interno del panorama cinematografico nostrano, vi sono indubbiamente i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, i quali, dopo un convincente esordio nel 2018 con La Terra dell’Abbastanza, alla Berlinale 2020 si sono aggiudicati addirittura il premio alla miglior sceneggiatura per Favolacce. Grandi aspettative, dunque, ha sollevato la presenza in Concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia di America Latina, la loro ultima fatica. Eppure, si sa, a volte, purtroppo, le aspettative vengono deluse. Soprattutto quando un successo fulmineo dà l’amara illusione di essere in grado di poter fare davvero tutto. Ma andiamo per gradi.

La vita di Massimo (impersonato da Elio Germano) sembra praticamente perfetta: un soddisfacente lavoro come dentista, una moglie giovane e innamoratissima e due figliolette adorabili. Tutto, però, prende improvvisamente una piega inaspettata nel momento in cui l’uomo trova misteriosamente nella cantina di casa sua una ragazza imbavagliata e legata a un palo. Come può essere possibile ciò? E, soprattutto, che fare? Chiamare la polizia rischiando di essere accusato di rapimento e di perdere tutto, oppure cercare di far finta di niente, senza dire nulla ai propri famigliari e portando regolarmente del cibo alla ragazza?
America Latina mette in scena una situazione drammaticamente estrema con una cura visiva a dir poco impeccabile: onirico e realtà si confondono in crescendo, al punto da disorientare lo spettatore senza fornirgli alcuna spiegazione logica; una fotografia virata al rosso sta a sottolineare la drammaticità del momento, la moglie e le figlie del protagonista ricordano quasi Le Tre Grazie di Sandro Botticelli e nella loro irreale perfezione sembrano, al contempo, voler suggerire un equilibrio pericolosamente precario. Tutto sembrerebbe perfetto. Eppure, questo lungometraggio del fratelli D’Innocenzo, di problematiche ne ha parecchie.
Se, infatti, già con Favolacce, avevamo visto come i due registi avevano realizzato una storia di forte impatto emotivo attingendo soprattutto a piene mani da quanto realizzato al di fuori dei confini nazionali (impossibile, in questo caso, non pensare a Canicola, diretto da Ulrich Seidl nel 2001) e vivendo quasi di rendita grazie a quando precedentemente realizzato da alcuni loro colleghi, nel girare America Latina una cura spasmodica per l’immagine e numerose suggestioni provenienti dal cinema horror mal celano una forte, fortissima autoreferenzialità di fondo, che si fa ancora più palese di fronte a una sceneggiatura che si perde per strada, che si accartoccia su sé stessa, che vuole a tutti i costi stupire, ma che, purtroppo, altro non fa che rivelarsi tristemente banale.
Stupire, traumatizzare lo spettatore, confonderlo e fargli perdere ogni certezza è, in questo caso, l’intento principale dei registi. A tal fine, diverse scene ad hoc servono a far precipitare la situazione (tra cui, su tutte, la scena della festa di compleanno del protagonista), ma risultano talmente forzate da scadere quasi nel ridicolo involontario. A scapito dell’indiscussa bravura di Elio Germano, che in questo particolare contesto non viene valorizzata come meriterebbe. Di strada da fare, dunque, per i fratelli D’Innocenzo, sembrerebbe essercene ancora tanta. E ripensando a La Terra dell’Abbastanza, che indubbiamente aveva rivelato il loro promettente talento, ci si rende conto che un approccio semplice e onesto è sempre la soluzione vincente.

Marina Pavido

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