Un’isola che resiste
Cinquanta anni costituiscono un numero importante. Convenzionalmente segnano il giro di boa di una vita umana. Se invece applichiamo la stessa valutazione ad un evento artistico, ecco che il lasso di tempo in questione può divenire anche strabiliante. Soprattutto in un paese come il nostro, dove l’aspetto culturale è purtroppo retrocesso, passo dopo passo, ad ultimo vagone della locomotiva sociale.
La Storia, volutamente in maiuscolo, raccontata nel prezioso documentario, presentato alla 77° Mostra del Cinema di Venezia nell’ambito delle Giornate degli Autori, diretto da Michele Mellara e Alessandro Rossi – dei quali ricordiamo il bellissimo esordio Fortezza Bastiani nel 2002 – dal titolo appunto 50 – Santarcangelo Festival appare più simile alla narrazione di un’avventura fantascientifica che al semplice documentario quale in effetti dovrebbe essere. Oltre ad illustrare al meglio tutte le infinite potenzialità di un’arte antica come il teatro, il film mette in scena – è proprio il caso di dirlo – tutte le contraddizioni attuali di una nazione chiamata Italia, un tempo lontano culla di cultura ed ora vittima di un processo involutivo in apparenza irreversibile. E come sempre accaduto la libertà di espressione diviene uno spazio da conquistare con la lotta.
Era il 1970 quando il fondatore e primo direttore del festival romagnolo – che prende il nome dalla località di svolgimento, nella provincia di Rimini – Piero Patino inaugurò l’evento, portando nelle strade non solo l’espressione artistica di un gruppo di persone ma una possibilità di crescita per tutti, spettatori in primis. Perché il teatro è un’arte inclusiva, “democratica” ai più alti livelli. Lo spettacolo nello spettacolo risiede nella complicità e nella partecipazione del pubblico. Stimolato ad accrescere la propria sete di sapere. Ma tutto ciò richiede un prezzo, non solo puramente economico, da pagare. Ecco quindi che 50 – Santarcangelo Festival diviene tra le righe la cronaca di un inesauribile conflitto tra la paura del nuovo ed il mantenimento del cosiddetto status quo. Con i vari direttori artistici succedutesi sempre in tensione verso le istituzioni, più attente ad altri aspetti piuttosto che a quello esclusivamente votato alla realizzazione artistica. Una storia, dunque, di persone disposte ad ogni sacrificio – Patino vendette addirittura alcuni beni personali, per finanziare la manifestazione – per inseguire un’utopia da far divenire realtà.
Eppure, nonostante le varie problematiche, il festival è ancora lì che resiste. Grazie al contributo di nomi noti quali ad esempio Toni Servillo e Filippo Timi, che compaiono nel documentario. Ma soprattutto perché, nonostante siano purtroppo altri pseudo-modelli quelli generalmente (in)seguiti oggi, sopravvive ancora il desiderio di rischiare, ascoltare nuove voci, mettersi completamente in gioco. Grazie al teatro, declinato in ogni sua sotto-categoria, arte unica e trasversale capace di contenere al suo interno molteplici modalità di espressione.
Per tali motivi 50 – Santarcangelo Festival riesce ad andare ben oltre i propri intenti di documentare una affascinante vicenda reale o celebrare un “compleanno” di quelli da ricordare. In questi tempi oscuri indica una possibile strada, tuttora percorribile, da seguire. Cercando un modo per risollevarsi da una pandemia altrettanto insidiosa, da etichettare con un nome del tutto differente dalla famigerata sigla covid-19.
Daniele De Angelis