Ritorno alla città natale
Quando un cineasta come il celebre documentarista statunitense Frederick Wiseman pensa di non aver detto tutto a sufficienza circa un luogo da lui trattato in uno dei suoi film, ecco che per quel dato documentario decide di inserire una preposizione nel titolo. Questo, ad esempio, è stato il caso di lavori come At Berkeley (2013) o In Jackson Heights (2015), ma assolutamente non è il caso di City Hall, la sua ultima fatica, presentata Fuori Concorso alla 77° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in cui gli aspetti trattati riguardano davvero ogni singola situazione facente parte della quotidianità dei cittadini.
Tornato nella sua città natale – Boston – Wiseman si è concentrato, qui, sull’operato del sindaco Marty Walsh, seguendolo passo passo in tutte le sue attività, le sue riunioni e i suoi numerosi incontri con la gente. Senza tralasciare assolutamente nulla. E così, mentre seguiamo con attenzione un suo discorso riguardante l’importanza di valorizzare il lavoro del personale infermieristico, ci emozioniamo di fronte a due donne che stanno per unirsi in matrimonio. E se immagini della città, delle sue villette e dei suoi imponenti grattacieli (ripresi rigorosamente dal basso) fanno da intermezzo tra una situazione e l’altra, capita molto facilmente di sentirsi quasi increduli di fronte al fatto che, in una città grande e cosmopolita come Boston, il tasso di disoccupazione ammonti soltanto al 2%.
In poche parole, un viaggio in un luogo a noi praticamente sconosciuto, ma di cui, ben presto, ci sentiamo parte integrante. Già. Perché, di fatto, la grande capacità di un cineasta come Frederick Wiseman è quella di trasportare lo spettatore in un contesto del tutto nuovo tramite un approccio registico immersivo e contemplativo al punto giusto e grazie anche a uno sguardo attento ai minimi dettagli e ai singoli personaggi di volta in volta incontrati.
Si potrebbe addirittura affermare che il presente sia uno dei lavori più intimi e personali del regista. E non soltanto perché stavolta il luogo prescelto è proprio la sua amata città natale. Ma anche per il fatto di riuscire a leggere sullo schermo, di quando in quando, anche qualche sua piccola velleità autoriale e semiseria auto citazione, come il riferimento al suo precedente lavoro (Monrovia, Indiana), nel momento in cui – durante una scena ambientata all’interno di una serra – vediamo il primissimo piano di un vaso su cui è scritto, appunto, “Monrovia”.
Non ci si sente affatto stanchi, dunque, dopo le quattro ore e mezza di durata del presente City Hall. Quattro ore e mezza che scivolano giù come un bicchiere d’acqua fresca. Malgrado sporadici momenti in cui questioni prettamente tecniche vengono discusse davanti ai nostri occhi. E malgrado il fatto che, per entrare davvero nel vivo del film, sia necessario qualche minuto di “ambientazione”. Per il resto, è la vita, è una piccola porzione di mondo che ci scorre davanti. E che viviamo noi stessi come se la conoscessimo da sempre. Una realtà che appare enorme ai nostri occhi e davanti alla quale ci sentiamo anche piccoli piccoli, ma che ci arriva in tutta la sua essenza, in tutte le sue numerose sfaccettature. In poche parole, un film di Frederick Wiseman.
Marina Pavido