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VOTO: 7.5

È un vero incubo

La cura del proprio corpo può assumere tratti da incubo e diventare una vera tortura per le persone che la praticano e per quelli che stanno loro intorno. Una ricerca ossessiva della perfetta forma fisica, infatti, non può che portare ad un integralismo nel regime alimentare e fisico davvero esasperante. Come linea di massima sarebbe sempre auspicabile seguire la locuzione latina “in medio stat virtus”, ma vallo a spiegare a chi ha come massimo orizzonte un fisico scolpito all’estremo. Al dibattito sulle esagerazioni salutiste si unisce anche la giovane regista russa Sasha Paracels con questo suo cortometraggio dal titolo 16/8 in concorso nella sezione European Comedy Film al 16° ÉCU Festival.
L’opera riesce in un tempo comunque limitato, sette minuti, a costruire un impianto drammaturgico coerente e bilanciato. Nel suo dipanarsi si presenta immediatamente come un horror che richiama piuttosto evidentemente alla saga cinematografica di Saw, in particolare al primo capitolo, con il presentarsi della protagonista incatenata ad una tubatura in un lercio scantinato. L’habitus delle prime immagini permane e vi si aggiunge un tocco di suspence che riporta alla mente il discorso e la tecnica cinematografica di Hitchcock per creare la tensione in un film. Un montaggio alternato e delle inquadrature frenetiche contribuiscono al crearsi della tensione ed a mantenere inchiodata l’attenzione dello spettatore; facendoci dire che la lezione del maestro inglese è stata ben recepita ed interiorizzata. La narrazione giunge fino a quello che pare essere il suo climax, l’imminente confronto con il misterioso rapitore, quando un contorcimento della trama ci scaraventa in un batter di ciglia, ma con apparente naturalezza, dall’orrore alla commedia.
La tensione si scioglie in un secondo, mentre le luci della verità dissipano le tenebre della paura.
Ci appare degno di nota il modo nel quale la regista ha dimostrato di sapere gestire diversi registri e passare dall’uno all’altro con disinvoltura nello spazio di un’inquadratura. In un film soprattutto di luci, artificiali e naturale, che appare anzi essere quasi scolpito da esse, inserendosi con questo in una certa tradizione del cinema russo che possiamo far risalire a Sokurov, la giovane regista sceglie di parlarci degli orrori e delle torture che alcune persone sono disposte ad imporsi e, di rimbalzo, ad imporre a chi sta loro a fianco pur di rispettare tabelle e precetti salutisti. L’ironica chiosa del finale, la frase : “Dedicato a tutte quelle coppie torturate da stili di vita salutari” esplica definitivamente, peccando forse di un minimo di didascalismo, il pensiero della regista con il quale facilmente concordiamo.
È giusto, se lo si desidera, seguire un regime di vita salutare, anzi sarebbe consigliabile per chiunque farlo; ma non si deve mai esagerare, pena il ritrovarsi magari chiusi in una stanza e costretti ad una lotta disperata per un semplice piatto di insalata scondita.

Luca Bovio

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