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La quinta onda

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VOTO: 4.5

Il mitra e l’orsacchiotto

Gli alieni sono tra noi. E forse continuano a girare film come La quinta onda, utilizzando sempre gli stessi stereotipi sino allo sfinimento, con il palese scopo di declassare il livello intellettuale del consorzio umano. Battute a parte, dopo un prologo di discreto impatto drammaturgico, La quinta onda imbocca le strade ormai ben conosciute del teen-movie a carattere bellico, cavalcando la moda di varie saghe che hanno visto e vedranno adolescenti di sesso femminile intrepide e valorose lottatrici contro nemici più o meno impossibili. Il vero problema del film diretto su commissione dal britannico J Blakeson – sua peraltro l’ottima modernizzazione del noir operata ne La scomparsa di Alice Creed (2009), da lui scritto e diretto in patria – risiede proprio nella strisciante mancanza di originalità; tutto è talmente già visto, love story compresa, che il prodotto finale riesce difficilmente accettabile anche per il pubblico giovanile, target di destinazione di operazioni puramente commerciali come queste.
Stavolta, come si affermava poc’anzi, sono gli alieni il nemico di turno. O meglio, il pretesto per mettere in scena l’ennesima figura di ragazza costretta ad una crescita accelerata dovuta al precipitare degli eventi. Una gigantesca astronave si staglia sui cieli dell’Ohio. Bene. Anzi male. Perché le intenzioni dei visitatori non sono affatto pacifiche. Lo spazio occupato dagli abitanti della Terra serve a loro. E le motivazioni dell’invasione si fermano qui. Seguono attacchi ad ondate (da cui il titolo) con annesse catastrofi naturali indotte, atte a provocare il maggior numero di morti possibili. Quindi impossessamento dei corpi che contano, cioè quelli delle alte sfere militari. Si cooptano adolescenti e bambini con l’inganno, a combattere i pochi umani rimasti. Ma il disegno alieno, al pari della risibile sceneggiatura, non ha fatto i conti con la prontezza di spirito di alcuni liceali d’avanguardia. Ci sono pure meticci metà alieni e metà umani dal fisico bestiale di cui innamorarsi, poiché l’invasione, dapprincipio meno traumatica, era cominciata da tempo. Dovrebbe bastare così, ma la protagonista Chloë Grace Moretz (aspirante star già instradata su un precoce viale del tramonto?) deve a tutti i costi rintracciare l’amato fratellino minore, unico membro della propria famiglia rimasto in vita. Nonché unica molla di sceneggiatura che fa procedere un lungometraggio che definire narrativamente asfittico sarebbe oltremodo generoso. Nonostante la firma in sede di script, nel terzetto di screenplayers, di Akiva Goldsman – Oscar per A Beautiful Mind nell’ormai remoto 2001 – La quinta onda appare un film “vecchio” dalla nascita, assimilabile a certo cinema di stampo ingenuamente reazionario molto in voga negli anni ottanta, se non fosse per il ribaltamento di alcuni stereotipi che vedono, appunto, nella figura dell’ufficiale militare il cattivo di turno, poiché appunto “infestato” dalla entità aliena. Particolarmente inquietante, poi, la disinvoltura con cui si assimilano età di formazione come l’infanzia e l’adolescenza ad una natura bellica che gli autori danno quasi come scontata reazione ad un nuovo ordine naturale: chi era un duro nella vita, quotidiana, precedente riesce a cavarsela anche in situazioni estreme, sparando, mitragliando e cannoneggiando a piacimento. Gli altri si arrangino. Fuori da qualsiasi verosimiglianza la figura del piccolo fratello di Cassie – questo il nome della protagonista – incerto tra dormire con l’orsacchiotto ricordo di famiglia, oppure con il fucile mitragliatore come venivano abituati i marines addestrati in Full Metal Jacket. Tra quest’episodio ed un abbozzo di rapporto sentimentale a tre che coinvolge l’indecisa Cassie, La quinta onda scivola spesso, nella seconda parte, nel comico involontario.
A completare il quadro negativo si scopre pure che Rick Yancey, lo scrittore del romanzo da cui nasce l’ispirazione per La quinta onda, ne ha fatto una trilogia. Del resto il finale aperto lascia spazio – e timore, magari non solo nella critica – ad eventuali sequels che ci sarebbe da sperare vengano bloccati sul nascere dall’eventuale scarso successo del film primigenio ai botteghini internazionali. Anche perché, ormai tramontati inesorabilmente i tempi dei contatti alieni densi di suggestioni amichevoli, la prospettiva di Rambo in miniatura deputati a difendere quel che resta del nostro agonizzante – per tutt’altri motivi – pianeta non crediamo possa sorridere a nessuno. Difficilmente, infatti, un’invasione aliena fuori tempo massimo potrebbe far peggio dei danni che noi stessi abbiamo e stiamo arrecando all’ecosistema…

Daniele De Angelis

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