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Victoria

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VOTO: 6.5

A long take for a long night

Una serata che, fino ad un certo punto, sembra procedere come altre per Victoria, una ragazza spagnola che da pochi mesi vive a Berlino: un club, la techno, la luce stroboscopica, un figura femminile sempre più a fuoco in pista mossa da innocente sfrontatezza; poi l’incontro con tre ragazzi del posto appena fuori dal locale che sarà l’inizio di un viaggio fuori dall’ordinario: in un succedersi di furtarelli, girovagare senza meta, chiacchierate su tetti accompagnate da birre rubate in un minimarket ed erba, ed infine una rapina in banca…
Victoria è la classica spirale (auto)distruttiva che viaggia su binari consueti, prevedibili, ma nonostante ciò capace di stimolare, aprire varchi d’interesse, e soprattutto prendere allo stomaco.
Il film di Sebastian Schipper – vincitore dell’Orso d’Argento alla Berlinale 2015 per il miglior contributo tecnico al direttore della fotografia Sturla Brandth Grøvlen – in un crescendo di tensione sempre più palpabile ed asfissiante ci immerge attraverso un unico piano sequenza (di ben 140 minuti) nella notte berlinese assumendo gradualmente la forma di un ritratto generazionale dalle tinte noir(eggianti). Schipper mette sul piatto una storia di (stra)ordinario sbando che sembrerebbe in prima battuta il pretesto per (di)mostrare di saper raccontare attraverso un unico piano sequenza; quel genere di operazioni che causano tentennamenti già prima di approcciarsi alla visione, riserve nei confronti di quella che appare come l’ennesima operazione tecnicamente ardita fatta apposta per stupire, distogliere lo sguardo dal poco o nulla che c’è dentro. Ma col procedere del racconto, l’ampio ventaglio di pregiudizi che si innescano (automaticamente) di fronte ad operazioni simili comincia a tacere, ché Victoria è un oggetto frastornante, viscerale, ambiguo, dal quale una volta usciti non si sa (del tutto) come porsi; il realismo della messa in scena, la tensione che pompa sempre più fino ad arrivare al suo discioglimento, al punto di rottura; un trip psichedelico aspro e cullante al tempo stesso dall’incedere frenetico, secco, vibrante.
I ragazzi di strada di Schipper sono come bambini finiti (quasi) per caso in un gioco più grande di loro che piano piano li inghiotte non lasciandogli/ci alcuna via d’uscita; i berlinesi ritratti dal regista sono i classici soggetti che già in partenza sembrano essere spacciati, a cui non resta molto da vivere; e un corpo estraneo al branco, la Victoria del titolo, connotata inizialmente da un incuriosito candore, pronta ad immergersi nella sottile ebbrezza di una notte improvvisata, dal fluire leggero, senza farsi troppe domande…
Victoria fa suo lo schema collaudato del “tutto in una notte” iniettandolo senza sovrastrutture morali od orpelli di vario genere lungo un tracciato para-criminale senza particolari forzature, forte di un comparto  tecnico e d’interpreti (tutti efficaci gli attori coinvolti) che fila liscio; e il tanto solitamente mal visto unico piano sequenza (o pseudo tale) assolve la mera funzione di ulteriore collante, null’altro, che rende la pellicola avvolgente e ansiogena; generando un flusso ininterrotto di suggestioni, umori e ansimi di terrore (nostri e dei personaggi), senza far sentire la sua ingombrante presenza, senza “voler dire” in ogni istante “guarda che prodigio”, ma apparendo semplicemente come veicolo adatto a ciò che Schipper vuole raccontare: un’apnea lunga più di due ore, da cui magari non si esce inebriati, ma il battito impiega alcuni minuti prima di tornare regolare.

Fabrizio Catalani

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