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Come ti rovino le vacanze

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VOTO: 7

A volte ritornano (bene)

Prima di arrovellarsi il cervello sulla definizione “critica” da dare a Come ti rovino le vacanze – cioè se sia un sequel, un remake oppure un reboot del cult National Lampoon’s Vacation, datato 1983 – bisognerebbe tenere presente la possibilità di un’altra opzione. Ovvero quella del “film-omaggio”. Perché Vacation (il titolo originale è il medesimo del primo film della saga) è in fondo un atto d’amore e rispetto. Soprattutto per la consapevolezza degli autori John Francis Daley e Jonathan M. Goldstein, registi e sceneggiatori, di vivere in un altro contesto sociale rispetto agli anni ottanta e di non poter mai essere Harold Ramis e John Hughes, rispettivamente regista e autore dello script dell’inarrivabile originale. Il gioco è quindi chiaro sin dalle premesse: cogliere lo spirito goliardico e aggiornarlo ai tempi, ben sapendo di non poterne ripetere gli effetti deflagranti in quanto a comicità satireggiante.
Se si potessero spostare indietro di trentadue anni le lancette del tempo si comprenderebbe molto meglio, con gli occhi di oggi, quanto sia stata tellurica quella commedia all’epoca pigramente definita demenziale. Ma che in realtà era una sopraffina messa alla berlina della famiglia medio borghese statunitense, appena infatuatasi del sogno edonista reganiano. Bei tempi, almeno per il cinema. Creativi e cattivi oltre ogni limite. Clark Griswold (un Chevy Chase al top della forma), pasticciando allegramente, nel nome del sogno americano “privato” trascinava per chilometri in autostrada antipatici cagnolini al guinzaglio e si permetteva di legare al tettuccio dell’auto il cadavere della povera zia Edna, morta di crepacuore durante una delle innumerevoli disavventure del viaggio. Tutto in nome del raggiungimento della fatidica Terra Promessa: non Israele, ma, più prosaicamente, il grande parco divertimenti californiano chiamato Walley World, simbolo definitivo di un processo che stava fatalmente per compiersi. Come ti rovino le vacanze, al di là del titolo italiano poco sensato, riprende il tema del viaggio finale lavorando in sottrazione sul versante della cattiveria pura ma aumentando, in compenso, il grado di volgarità dilagante. Stavolta non si ride dei Griswold ma si ride con i Griswold, i quali, democratici di opinione, sapranno trarre una morale di crescita da un viaggio che li porterà a conoscere angoli e persone di un’America poco frequentata e loro ignota.
La nuova generazione dei Griswold è guidata da Rusty (l’attore Ed Helms di Una notte da leoni, personaggio meno istintivo rispetto al padre nella finzione), il figlio del protagonista nel film del 1983, nel segno di una continuità familiare foriera di un senso assai preciso, quello dell’importanza della memoria e della tradizione. Ovviamente, anche in questo caso, la sceneggiatura conduce i quattro – moglie e due figli entrambi maschi, stavolta – a qualsiasi tipologia di disastro. L’afflato sardonico, insomma, rimane più o meno quello; tuttavia il film del duo Daley/Goldstein appare anche una riflessione su come si sono evoluti – o involuti, a seconda dei punti vista – i gusti del pubblico. La comicità scatologica impera e non sembra affatto una scelta di comodo, bensì una “chiamata in correo” verso un pubblico ormai abituato a ridere usando le parti basse. Del resto anche i lindi Griswold versione 2.1 sono destinati a “sporcarsi le mani”, prima fisicamente – nella sequenza del bagno nella fogna a cielo aperto scambiata per fonte termale – poi moralmente, quando si tratterà di combattere all’arma bianca con un’altra famiglia per l’ultima corsa sulle celeberrime montagne russe di Walley World. Momento clou la reunion con i genitori Chevy Chase e Beverly D’Angelo, con il primo a regalare la Station Wagon del film primigenio rimessa a nuovo per proseguire un viaggio ormai relegato su un binario morto. Potrebbe anche cadere qualche lacrimuccia, se siete stati giovani negli anni ottanta e vi siete appassionati alle peripezie dei Griswold…
Al tirar delle somme, dando per impossibile un confronto con l’originale, Come ti rovino le vacanze riesce a brillare di luce propria e regalare momenti di non del tutto innocua ilarità in un’estate mai così calda. Se si mette nel conto anche l’aria condizionata, vale senz’altro la pena una capatina ferragostana al cinema. Oltre che un implicito invito a recuperare, come prezioso reperto di un tempo irrimediabilmente andato, il capostipite.

Daniele De Angelis

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