L’indifferenza del cervo
Backcountry (2014) è un film canadese scritto e diretto da Adam MacDonald.
Lo scenario sono le distese boschive del Blackfoot Trail (Canada). Oltre il sentiero tracciato, il nulla, solo un oceano di alberi nella loro stagione rossa. Alex e Jenn (Jeff Roop e Missy Peregrym) sono pronti per la loro avventura, armati di tenda e nient’altro che lo stretto necessario per vivere una vacanza romantica. La Natura li inghiotte, sì, ma non ha bisogno di vendicarsi di niente perché i due fidanzati si comportano seguendo le regole in modo quasi completo. Sono ligi e rispettosi. Non siamo davanti ad una vendetta dell’ecosistema sull’Uomo, non si creano i presupposti ed ogni critica viene lasciata fuori. Purtroppo anche una piccola disattenzione, in un habitat dimenticato e quindi ormai sconosciuto, di cui non facciamo più parte da tempo, può costare davvero troppo caro.
MacDonald prova a distrarci, in un primo tempo, facendo credere che la minaccia abbia la nostra forma e venga – come i due protagonisti – dal mondo civilizzato. Si tratta di una guida turistica, un certo Brad (Eric Balfour), che si comporta in modo sospetto e minaccioso, preoccupando i due per un suo possibile ritorno dopo aver lasciato l’accampamento durante la notte. La coppia si perde, neanche a dirlo, senza una mappa e senza la possibilità di comunicazione. Saranno questi gli errori che porteranno disequilibrio tra i futuri sposini e l’ambiente circostante. È da questo punto in poi della pellicola che la medaglia si gira e viene scoperto il suo risvolto, la facciata imprevedibile ed incontrollabile della selva. Rimarranno intrappolati dentro la loro tenda, sospesi e scarsamente protetti, mentre scopriranno che il pericolo ha invece un manto lucido ed enormi fauci.
L’orso non è affetto da alcun morbo, come il San Bernardo di King, né è posseduto da alcunché. Non incarna qualcosa di demoniaco, non c’è niente di mistico dietro i suoi comportamenti. Il grizzly deve semplicemente soddisfare uno dei bisogni primari per la sopravvivenza: deve mangiare. Lo stato di necessità primordiale degli esseri umani viene contrapposto a quello dell’animale, agli occhi inespressivi dell’orso come all’indifferenza dei cervi, ed è da questo punto in poi che veniamo estromessi dall’ecosistema di cui dovremmo far parte. La violenza e la rapidità con cui questo avviene sono entrambe in grado di ridurre all’osso e spolpare qualsiasi istituzione sociale, riducendola così all’istinto nudo e crudo delle bestie e delimitando una netta linea di confine tra quello che c’era prima e quello che rimane dopo. La freddezza realista che rappresenta il regista canadese è nauseabonda, ci afferra allo stomaco poiché rimembra la fragilità della carne davanti ai nostri progetti illusori, ai nostri sentimenti, alle gelosie, alle promesse di matrimonio, alle ambizioni professionali e via discorrendo.
Le riprese imperfette, le ripetute immagini fuori fuoco, la sospensione delle melodie a favore degli unici suoni presenti nel paesaggio rendono lo spettatore partecipe ma totalmente impotente davanti alla forza generatrice che lo travolge. Backcountry non è dunque un eco-vengeance come molti altri: i ragazzi camminano in punta di piedi e non azzardano atteggiamenti imprudenti più del dovuto. Le aree rurali e disabitate, come si sa, hanno però le loro leggi, e l’unico valore possibile altro non è che quello della sopravvivenza.
Riccardo Scano