Il colore viola
Per essere credibile e catturare l’empatia dello spettatore un racconto di formazione dovrebbe, in prima istanza, sempre riproporre la realtà in ogni sua possibile sfaccettatura. Salvo poi lanciarsi in una dimensione poetica in grado di rendere metafora l’ambientazione sociale e culturale dell’opera.
La regista indonesiana Kamila Andini rispetta quasi alla lettera tali prerogative, confermando con Yuni – a dieci anni di distanza dal bellissimo, suggestivo The Mirror Never Lies (2011) – di possedere una limpidezza di sguardo affatto comune, nell’affrontare sia le difficoltà di un’età della formazione che la difficile condizione femminile in Indonesia, pesantemente condizionata da religione e patriarcato. Yuni è l’adolescente protagonista del lungometraggio. Una ragazza alle soglie dell’età adulta determinata a far valere i propri diritti. Ha una passione smodata per il colore viola, simbolo di ribellione all’omologazione pretesa dalla società in cui vive. Rifiuta diverse proposte di matrimonio, correndo il rischio di venire additata come foriera di sfortuna in un ambiente tuttora ancorato alle tradizioni più retrive. La religione islamica regna sovrana, pretendendo dalla donna il rispetto della regola principe, ossia quello di consegnarsi vergine al futuro marito. Ma Yuni vuole prendere da sola le sue decisioni, sfidando così il sentire comune.
Non poteva che prendere il titolo dal nome della protagonista un’opera come Yuni, presentata nella Selezione Ufficiale della sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Poiché Kamila Andini trasferisce su di lei tutte le ambizioni che una donna vuole legittimamente coltivare, tutti i sogni per un futuro differente che non preveda, come unico obiettivo esistenziale, la possibilità di sposarsi e procreare. L’acerba Yuni, straordinariamente interpretata dalla giovanissima Arawinda Kirana, si getta a capofitto e senza rete di protezione in un’autentica ronde sentimentale: ama segretamente il suo insegnante di letteratura fino al momento in cui lo sorprende in un istante di intimità. Non disdegna affatto la corte di un timido coetaneo, poeta nell’animo, che le dedica semplici ma significative strofe d’amore. Come detto, essendo tra l’altro Yuni una ragazza molto attraente, rifiuta in serie proposte di matrimonio da parte di uomini molto più grandi. Salvo poi accettare l’ultima, più per affetto che per amore, senza svelare un finale che andrebbe visto con il cuore in mano. Yuni, al pari del film, si perde talvolta nei labirinti di quell’età incerta che è l’adolescenza, dove le risposte appaiono assolute ed invece sono enigmi tutti da sciogliere. La Andini, anche sceneggiatrice assieme a Prima Rusdi, evitando momenti drammatici, ci suggerisce delicatamente che forse è tra le pieghe della poesia interiore che è possibile trovare soluzione ai continui crocevia che l’esistenza pone di fronte. Quando cuore e mente di un individuo riescono a fondersi in un’unica entità, allora quella stessa persona diventerà “grande”, imparando a prendere le cose con la medesima naturalezza di come possono arrivare.
Immagini di assoluta bellezza accompagnano lo spettatore in un percorso che è assieme personale e universale. Ricco di curve e conseguenti sbandate, imperfetto nelle sue pause e accelerazioni perché anche l’Arte, talvolta, deve tenersi lontano da una perfezione irraggiungibile e forse inesistente. Yuni è un’ode sommessa alla vaghezza della gioventù che sta per finire. Che presto, troppo presto, diventerà un ricordo lontano. Dolce e amaro nello stesso tempo. Esattamente come un film da fruire a “fior di pelle”, senza soverchie mediazioni intellettuali.
Daniele De Angelis