Sulla soglia
Fa piacere che in un Concorso Cortometraggi come quello del Ravenna Nightmare 2024, dove erano presenti film di sicuro più appariscenti, spettacolari, i riconoscimenti più importanti siano andati a lavori in cui la pregevole realizzazione tecnica non risultasse poi disgiunta da un adeguato spessore tematico, narrativo. Abbiamo già parlato su queste pagine di Playing God, il corto di Matteo Burani cui è andato il PREMIO MÉLIÈS D’ARGENT per il miglior cortometraggio europeo. Mentre il PREMIO CINECLUB DESERTO ROSSO per il miglior cortometraggio è stato assegnato a You Can Go Home Whenever You Want di Matthew Paul Everitt, che stando ai comunicati ufficiali “ha saputo meglio coniugare cinema di genere e cinema d’autore!”.
Partiamo pure dalla sinossi: in una città tormentata da misteriose sparizioni, una collina isolata, che si dice sia una porta d’accesso all’aldilà, conduce un uomo verso un’esistenza simile a quella di un monaco… fino a quando un vecchio amico arriva con una torta di compleanno, risvegliando sentimenti sepolti da tempo.
Matthew Paul Everitt, cineasta del Michigan che si dice influenzato da Andrei Tarkovsky e da Michael Mann, ha in effetti scelto i tempi giusti, tempi ieratici e opportunamente dilatati, per esprimere al meglio un mondo liminare, che possiede una sua ritualità e può vantare ad ogni modo un custode d’eccezione: malinconico, tormentato, quel protagonista che fa da spartiacque tra il mondo dei vivi e quelli dei morti lascia comunque il segno. Mostrando distacco quando è necessario ma all’occorrenza anche empatia. Alcune visite inaspettate faranno in modo, così, che quel precario equilibrio emotivo repentinamente salti, lasciando spazio a una scelta per certi versi sorprendente, spiazzante.
Di film relativi a un ipotetico “afterlife” ne abbiamo visti parecchi, in passato, sebbene l’impronta liminare e così importante del trapasso non abbia beneficiato, forse, di altrettante attenzioni. Matthew Paul Everitt ha dunque il merito di aver tradotto uno sguardo tanto attento e partecipe in un corto in un corto che, senza spettacolarizzare il momento ma cogliendone l’essenza con la giusta solennità, ha avuto buon gioco nel calarlo in una società (ipotetica) dove chi sceglie di rimanere e chi sceglie di andarsene ha parimenti ragione, di fronte al mistero talora angosciante dell’esistenza umana.
Stefano Coccia