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Wùlu

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VOTO: 7

Tutto o niente

Nel parlare o nello scrivere di Wùlu, alcuni addetti ai lavori sono arrivati persino a scomodare lo Scarface di Howard Hawks e di conseguenza anche il suo pregevole remake targato Brian De Palma. Inutile dire che il confronto con la pellicola del 1932, ma anche con il rifacimento del 1983, non regge ed è decisamente ardito, ma non per questo da considerare del tutto fuori luogo. Questo perché l’opera scritta e diretta da Daouda Coulibaly, presentata nel concorso della 26esima edizione del Noir in Festival dopo le proiezioni alle kermesse di Londra e Amburgo, ne ricalca quasi filologicamente le traiettorie narrative e drammaturgiche, in particolare attraverso la one line del suo protagonista e il destino che lo attende. Una one line che, del resto, è il frutto di un disegno ben preciso e di un’architettura pre-confezionata, ricorrente e ampiamente codificata, che affonda le proprie radici nella notte dei tempi della Settima Arte e ancora prima della letteratura di genere (e non solo). In questo caso, però, non si tratta di mancanza di originalità, piuttosto di un copione già scritto che trova la sua genesi nei secoli dei secoli.
Ladji ha vent’anni e fa il conducente di autobus per tenere lontana dalla prostituzione sua sorella Aminata. Quando non ottiene la promozione che si aspettava, decide di contattare Driss, un trafficante di droga che gli deve un favore. Insieme ai suoi amici, Houphouet e Zol, Ladji inizia a spacciare cocaina tra Conakry e Bamako. La sua rapida ascesa lo porta a condurre una vita che non si era mai sognato e potuto permettere. Ma il prezzo da pagare non può che essere alto.
Dietro la parabola malavitosa del protagonista c’è, infatti, la classica scalata al potere del pesce piccolo che diventa grande. Di conseguenza, le tappe del percorso che dall’ascesa portano alla rovinosa caduta sono imprescindibili e irrinunciabili per tutti coloro che decidono di confrontarsi con il genere crime e affini. Non si può parlare, quindi, nemmeno di prevedibilità della trama e dei suoi sviluppi. Nei film come Wùlu si è praticamente costretti a seguire il suddetto copione quasi alla lettera, semmai con maggiore o meno efficacia e con qualche colpo di scena in più nei capitoli che vanno a comporre il romanzo criminale di turno. Stanno in queste varianti, nella forza della scrittura, nel disegno solido dei personaggi e anche nella pregevolezza della messa in quadro, uniti all’apporto attoriale, gli elementi che all’interno del genere in questione possono fare la differenza tra ciò che merita di essere ricordato e ciò che invece andrebbe confinato nel dimenticatoio. Per quanto concerne Wùlu lo script non scricchiola e non ha particolari cedimenti, con una buona commistione tra romanzo criminale e romanzo di (de)formazione ad alimentarne il plot.
E’ inevitabile allora che anche il racconto al centro dell’opera d’esordio del cineasta franco-maliano provochi nel fruitore una sensazione di dejà vu e tutta una serie di rimandi a pellicole del passato. Senza andare troppo in là nel tempo è sufficiente ricordare Vallanzasca – Gli angeli del male, il dittico di Nemico pubblico N. 1, Black Mass o Public Enemies. Al confronto e al gioco delle analogie non si può giocoforza sfuggire e di questo Coulibaly, così come lo spettatore che entra in contatto con il suo film, ne è perfettamente cosciente. Fatto sta che dopo avere letto la sinossi e visto il film è impossibile non pensare a Scarface, ma anche a tutte quelle miliardi di storie che nei decenni sono approdate sul grande schermo. Ovviamente il peso specifico di quella che anima il film di Hawks è dieci volte superiore, perchè dietro la scalata al potere dello spietato e sanguinario Tony Camonte c’era il riferimento chiaro alla figura di Al Capone e alle sue gesta criminali. Per cui, se proprio lo si deve tirare in ballo, allora forse è meglio rapportarsi con il remake di De Palma, decisamente meno distante. Il Ladji di Wùlu è quindi un po’ come l’Antonio “Tony” Montana, immigrato cubano reduce dell’esodo di Mariel del 1980, interpretato da un grandissimo Robert De Niro. La sua ascesa si svolgeva nella Miami degli anni Ottanta, allora centro di un considerevole traffico di droga. Traffico di stupefacenti che è anche il business che permette al povero ragazzo di strada del film di Coulibaly, interpretato da un convincente Ibrahim Koma, di scalare le vette e fare palate di soldi. Ciò che rende interessante il tutto è l’ambientazione africana, ma anche il contesto storico dove la vicenda affonda le sue radici drammaturgiche. Dopo aver esplorato nei suoi cortometraggi temi come la storia recente o l’identità culturale (A History of Independence e Tinyè So), con la sua prima prova nel lungometraggio l’autore indaga quali siano le origini della crisi del 2012 in Mali. E proprio il traffico di droga e scalate come quella di Ladji ne sono state le principali cause. Questo permette a Wùlu di essere qualcosa di più di un semplice romanzo criminale fine a se stesso, ma anche il racconto di un pezzo di Storia di una nazione, la stessa dalla quale proviene Coulibaly e attraverso il quale interrogarsi sulle relazioni che intercorrono tra l’Africa Occidentale e il resto del mondo.

Francesco Del Grosso

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