Mondo Bizzarro
Nella seconda giornata del Festival di Roma ha debuttato una sezione, “Mondo Genere”, destinata a calamitare l’attenzione degli appassionati. Stando ai primi due film proiettati, si direbbe che i selezionatori abbiano privilegiato approcci tendenzialmente autoriali, nell’assemblare questa galleria di titoli orientata verso l’horror e il mistery. L’impressione è stata ancora più forte in serata, quando è arrivato il turno del bianco e nero assai ricercato del lungometraggio diretto da Ana Lily Amirpour, A Girl Walks Home Alone At Night. Atmosfere alla Jarmush. Una vampira che si aggira di notte proponendo la sua etica differente, con addosso abiti della tradizione islamica. Una immaginaria città iraniana, declinata quasi alla Sin City (sebbene il grado di violenza sia enormemente più trattenuto), dove si aggirano tossici, prostitute, usurai e derelitti d’ogni genere. Musiche techno e rock di matrice persiana accompagnano poi bene il sofisticato e comunque sovversivo horror in salsa mediorientale, ma di produzione americana, al quale ascriviamo però il difetto di risultare un po’ prolisso; nonché alquanto insistito, pressante, nella sua proposta di autorialità, fino ad adombrare qualche sospetto di manierismo.
Tutto sommato ci era garbata di più, in mattinata, la proposta carioca della selezione: When I Was Alive (ovvero Quando eu era vivo) di Marco Dutra. Incline tanto al pittoresco quanto al grottesco, nel mettere in scena quel concatenarsi di tensioni e possessioni demoniache che da decenni sembrano perseguitare il protagonista e la sua famiglia, il film in questione poteva tranquillamente eclissarsi nel più folkloristico sottobosco di genere, se a sostenerlo non fosse intervenuta una regia colta, creativa, ammiccante, finanche divertita nel costruire atmosfere degne dei più grandi maestri della suspance. Il ritorno del protagonista Junior nella casa del padre, casa dove aveva trascorso l’infanzia, è difatti accompagnato dalla progressiva riscoperta di ambienti e oggetti, inquadrati di sovente in modi che ne amplificano la valenza morbosa, oscura, sottilmente inquietante; e se in questa esplorazione della cornice domestica il referente più immediato pare essere Polanski, qualcosa di hithcockiano si respira invece nella costruzione di atmosfere spesse e nel loro relazionarsi a certi tratti ricorrenti, siano essi episodi narrati in flashback, quadri cui è facile attribuire un’impronta allegorica o altri piccoli escamotage narrativi. In un film visivamente e narrativamente così azzardato non mancano invero gli scivoloni. La tempistica attraverso la quale si avvicina al culto demoniaco la nuova inquilina, repentinamente attratta da Junior, di sicuro non brilla per credibilità e coerenza logica. Ma le intuizioni registiche dell’autore “paulista” sanno compensare, anche solo con qualche inaspettata successione di inquadrature, l’affiorare nello script di sporadiche imprecisioni e incertezze. Il resto lo fanno gli attori coinvolti nel progetto, con la loro verve talvolta altrettanto irregolare ed eccentrica.
Stefano Coccia