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Yardie

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VOTO: 5

Ingenui tentativi

Capita che, dopo anni e anni davanti alla macchina da presa, alcuni attori decidano di passare dietro di essa. E a volte i risultati sono anche piuttosto soddisfacenti. Ovviamente, tali “miracoli” cinematografici non avvengono tutti i giorni, dal momento non sempre chi si è a suo tempo dimostrato un valido interprete, riesce ad essere convincente anche nelle vesti di regista. Ovviamente, ogni caso è a sé. Tra gli attori che, ultimamente hanno deciso di dare tale svolta alla propria carriera troviamo, ad esempio, l’inglese Idris Elba, il quale ha presentato alla 68° edizione del Festival di Berlino la sua opera prima: Yardie, tratto dall’omonimo romanzo di Victor Headley.
Siamo in Giamaica, nel 1973. Il giovane D. è un bambino allegro e vivace, innamorato di Yvonne e affezionatissimo a suo fratello maggiore Jerry, che considera la sua guida. Un giorno, però, in seguito ad una sparatoria tra gang rivali, Jerry viene ucciso. Dieci anni dopo, nel 1983, D., divenuto ormai adulto e padre di una bambina avuta con la sua amata Yvonne, decide di trasferirsi a Londra insieme alla famiglia, al fine di trovare un posto più tranquillo in cui crescere sua figlia. Anche qui, tuttavia, il passato tornerà a bussare e, lavorando come trafficante di droga, il ragazzo avrà modo di incontrare anche l’assassino di suo fratello.
Che un prodotto come Yardie sia fortemente sentito da Elba, è chiaro fin dall’inizio. Ma non sempre questa forte empatia nei confronti di qualcosa a cui si sta lavorando è cosa positiva. O meglio, lo è, ma, come nel caso del presente Yardie, spesso non permette di tenere la giusta distanza, quel distacco emotivo necessario a mettere in scena qualcosa. Il problema di Elba regista, nel nostro caso, è che, proprio per questo suo girare “di pancia”, abbia calcato troppo la mano nel voler a tutti i costi enfatizzare alcuni momenti o anche i sentimenti stessi dei personaggi. È il caso, questo, ad esempio, delle scene in cui al giovane protagonista appare il fantasma del fratello scomparso o anche dei momenti riguardanti la vita di D. insieme alla sua famiglia, con un commento musicale a tratti eccessivamente invadente, al punto da diventare addirittura stucchevole. Paradossalmente, però, è proprio la musica a rappresentare uno degli elementi più interessanti di un lavoro come Yardie: coinvolgenti pezzi reggae ben rendono l’atmosfera di un paese come la Giamaica e, per quanto riguarda i momenti “londinesi”, la vita di chi, lontano dalla propria patria, ha trovato una propria comunità anche in terra straniera.
Il problema principale di un lungometraggio come Yardie è, purtroppo, una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti e dove, di fianco a troppe e troppo poco credibili coincidenze, vi sono anche numerose forzature che altro non fanno che far perdere irrimediabilmente di credibilità ad un lavoro già di per sé piuttosto debole e che fatica a decollare già dopo i primi minuti. Poco convince, ad esempio, il fatto che – pur di evitare che un uomo malmenato da D. si vendichi – sua moglie decida di parlare a quest’ultimo faccia a faccia, facendogli notare che prima di tutto bisogna pensare al bene dei propri figli ed alla loro serenità.
Eppure, malgrado ciò, bisogna riconoscere al presente lungometraggio una certa onestà di base: Idris Elba, dal canto suo, ce l’ha messa davvero tutta e ci ha creduto fino in fondo, questo è evidente. Il suo Yardie è, più che altro, un prodotto estremamente ingenuo che per la sua scarsa originalità, oltre che per la sua dubbia riuscita, probabilmente finirà presto nel dimenticatoio, ma che, allo stesso tempo, proprio per questa sua ingenuità fa quasi tenerezza. D’altronde, si sa, non è facile spostarsi da un lato all’altro della macchina da presa come se nulla fosse.

Marina Pavido

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