Nel mondo di oggi è ancora possibile sognare
Laurent si è separato, ha un caratteraccio, è un bevitore, fa a pugni, è disoccupato e non riesce neanche a trascorrere del tempo con il figlio Theo, che comunque adora. Nessuno pensa di poter più scommettere nulla su questo perdente, nè l’assistente sociale Sarah, che ha cercato inutilmente di trovargli un nuovo impiego, nè tantomeno l’ex moglie Chloè. A credere ancora in lui è solo Theo, ma certo non è impresa facile. Il ragazzino, ottimo giocatore della locale squadra di calcio giovanile, gli Intrepidi, sa che neanche a bordo campo il padre è ben visto dal momento che Laurent arriva ubriaco alle partite, tifa in modo fastidioso e violento e finisce per azzuffarsi con gli altri genitori. Non sembrano esserci insomma possibilità per quest’uomo che è un po’ il simbolo di tutta la provincia francese in cui è ambientato il film (ma che potrebbe trovarsi ovunque nell’Europa di oggi), dove si capisce che la crisi ha colpito duro, dove il tessuto sociale è in grande sofferenza e dove le fabbriche hanno delocalizzato e abbandonato interi territori a un’esistenza in cui non si hanno più fantasie di riscatto. A tornare a dare una speranza a Laurent è un’inaspettata circostanza: la visita al campo di un osservatore dell’Arsenal, la stellare squadra di calcio londinese, il quale appare interessato al talento di Theo, ma anche qui sembra proprio che la fortuna non voglia girare. Sebbene infatti il giovane giocatore appaia molto promettente, è ancora troppo basso per superare il provino. Nonostante la brutta notizia, per un banale equivoco tutti si convincono che Theo sia stato in realtà selezionato dall’Arsenal e, vista l’incredibile gioia che conquista il padre, il piccolo non se la sente di deluderlo e ben volentieri porta avanti un inganno che, presto, diventerà più grande di lui. Spronato da questo apparente successo, da un domani roseo che ormai vede a portata di mano, Laurent trova finalmente la giusta motivazione per rimettere in piedi la sua vita disastrata, ricontattando l’assistente sociale, trovando un lavoro e cercando di dire addio alla bottiglia. Un’ondata di positività che coinvolgerà anche il resto della città e metterà in moto una serie di svolte virtuose. Le bugie però, come si suol dire, hanno le gambe corte e tutto questo bellissimo sogno può svanire da un momento all’altro.
Buoni sentimenti, sport e una sceneggiatura intelligente sono gli ingredienti di questo secondo film di Julien Rappeneau, Un sogno per papà, ancora una volta , come il precedente Rosalie Blum del 2015, brillantemente tratto da una graphic novel. Una ricetta apparentemente semplice, ma per nulla ovvia nella sua realizzazione agrodolce, considerando che all’interno della gradevole commedia trovano spazio molti temi sociali drammaticamente attuali. Laurent, interpretato dalla tenerezza burbera e fisica di Francois Damines, è il rappresentante di tanti ex operai condannati allo squallore della vita da disoccupati, dove reinserirsi nella società e nel mondo del lavoro appare impossibile. L’assistente sociale, che ha il volto di Laetitia Dosch, è stressata dalle mille cause perse che segue, entusiasta del suo lavoro ma frustrata da una burocrazia soffocante e dalla continua sensazione di lottare strenuamente contro dei mulini a vento. Il mondo di Theo, il bravo Maleaume Paquin, è quello di molti bambini che oggi vivono con disagio la separazione dei genitori e la difficoltà di vedere un nuovo arrivato a fianco della propria madre, a oscurare una figura paterna certamente non priva di difetti. E a proposito di madre, sacrifici nella vita ne fa anche Chloè, nei cui panni troviamo Ludivine Sagnier, impegnata a ritrovare una sua dimensione, alla continua ricerca di un compagno stabile, stremata dalle preoccupazioni che gli danno sia l’ex marito che il rapporto sempre complesso con il figlio. I piccoli amici di Theo se la passano perfino peggio, come Romane, il cui padre è addirittura sparito rendendola una ragazza astiosa e pessimista, anche nei confronti di Laurent, oppure Max, che preferisce rifugiarsi nella sua stanza dalla quale non ne vuole sapere di uscire neanche per andare a scuola, preferendo il computer e Internet alle brutture che ci sono là fuori. Ed è protagonista anche la città, i cui luoghi abbandonati o decadenti suggeriscono un passato positivo che oggi stenta a tornare (bella l’idea della vecchia, fatiscente piscina eletta a rifugio segreto da Theo e Romane), come anche il bar che solo il sogno offerto dalla bugia di Theo spinge a una necessaria piccola opera di riabbellimento. In questo scenario desolato, trova spazio dunque una favola moderna, si fa di nuovo largo un sorriso e, tutto sommato, qualche spiraglio per sperare in un futuro migliore, sebbene inaspettato, viene concesso. Una delle più belle figure del film, Claude, l’allenatore della giovane squadra di calcio, ha il volto di Andrè Dussollier e dispensa, quasi come un predicatore nel deserto, i migliori aforismi dei calciatori che hanno fatto la storia. Uno di Eric Cantona, crediamo, riassume nel modo migliore questo film ottimamente recitato, dal finale forse fin troppo positivo, che fa sorridere, commuovere, ma anche riflettere lo spettatore: “La vita è sempre troppo crudele. Tutto ciò che possiamo fare è provare a passare la palla e lasciare che il sole splenda. Sperando che brilli per tutti“.
Massimo Brigandì