Il ritorno in grande stile di Martin McDonagh
Sin’ora è l’applauso più lungo del festival quello che ha seguito la proiezione stampa di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, del premio Oscar Martin McDonagh, che nel 2002 si aggiudicò la statuetta per il folgorante cortometraggio d’esordio Six Shooter. Già in quei 27 minuti erano riconoscibili le caratteristiche che avrebbero poi contraddistinto i suoi lavori successivi: una rara abilità narrativa sorretta da una scrittura brillante e travolgente, che con l’apporto di una vena umoristica cinica e spietata riesce ad affrontare i temi più drammatici senza irritare, e anzi uscendone perfettamente illesa. E se tutto ciò era andato un po’ perduto nel raffazzonato 7 psicopatici (2012), decisamente non all’altezza dello splendido In Bruges (2008), con Tre Manifesti a Ebbing, Missouri nella titolazione originale Three Billboards Outside Ebbing, Missouri) McDonagh riesce nell’impresa che lo aveva visto fallire cinque anni fa: mettere in scena un’impeccabile commedia nera, sulla quale si stagliassero personaggi convincenti tanto in se stessi quanto nelle loro reciproche interazioni.
I tre manifesti del titolo sono quelli fatti affiggere da Mildred Hayes (formidabile Frances McDormand) e sui quali è incisa a chiarissime lettere un’invettiva contro lo sceriffo Willoughby (Woody Harrelson), il quale, secondo Mildred, non avrebbe svolto indagini esaustive intorno al caso della figlia Kathryn, stuprata e bruciata viva da un colpevole rimasto ignoto. Gli effetti dirompenti dell’iniziativa di Mildred si ripercuoteranno sulla vita di Willoughby e dell’agente Dixon (cucito a pennello su Sam Rockwell), innescando una serie di episodi tragicomici che, oltre a divertire, costringono ciascun personaggio ad evolversi e a mettere in discussione le proprie certezze. Non deve essere stato semplice far continuo riferimento ad un omicidio così macabro mantenendosi fedeli al registro umoristico, e assicurarsi una reazione diversa dallo sdegno: eppure, con quel suo tocco intelligente e calibrato, un po’ coeniano, la scrittura di McDonagh non sbaglia un colpo e colpisce il bersaglio anche nei punti più audaci, quando affronta tematiche come la morte, la giustizia, il razzismo. Le quasi due ore di Tre manifesti a Ebbing, Missouri scorrono velocissime, e si arriva alla fine con la certezza di aver visto del grande cinema. Sulla solida base narrativa, infatti, si stagliano delle prove attoriali prorompenti e mai eccessive, soprattutto Frances McDormand, inscindibile dal personaggio di Mildred, sia che si tratti di esprimere la sua abituale determinazione o gli attimi d’emotività. E se grazie allo sguardo dolce di Woody Harrelson, alle sue microespressioni, il personaggio dello sceriffo è quello più credibile oltre che più facile da amare, la crescita che è costretto a sperimentare l’agente Dixon permette a Sam Rockwell di dare più di un’interpretazione macchiettistica, alle quali l’attore ci ha fin troppo abituati. Bilanciatissimo compromesso tra l’impostazione tragicomica di In Bruges e il trionfo dell’assurdo di Sette Psicopatici (e per quanto non raggiunga le vette del primo) Tre manifesti a Ebbing, Missouri rimarrà sicuramente tra i film in Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia più caratteristici e quindi più memorabili.
Ginevra Ghini