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Torno da mia madre

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VOTO: 5.5

Disoccupazione per principianti

Quantomeno negli ultimi due decenni il mondo francofono, con particolare riferimento al cinema di Francia e Belgio, ci ha abituato a una lunga serie di pellicole che sanno prendere di petto il mondo del lavoro e le sue problematiche più pressanti, a partire dallo sfruttamento, dal mobbing, dalla disoccupazione. La produzione così autoriale dei belgi Dardenne in tal senso è emblematica, oltre che encomiabile. Ma anche cineasti francesi come Laurent Cantet o come lo Stéphane Brizé de La legge del mercato hanno contribuito egregiamente alla causa.
Dove e quando subentrano allora i problemi? Subentrano, molto spesso, allorché certe tematiche confluiscono in commediole che, con il loro fare ridanciano e un’eccesiva frivolezza di fondo, finiscono per svilirne il senso o per rapportarlo invece alle paturnie del borghesotto annoiato di turno. È proprio questo, a nostro avviso, il caso di Torno da mia madre.

Intendiamoci, questo versante leggero della commedia francese, anche grazie al valore mediamente così alto degli interpreti, può non dispiacerci qualora l’argomento sia approcciato con un piglio realmente libero, scanzonato, senza troppe pretese. E almeno sotto il profilo del ritmo e della vivacità esibita da alcuni personaggi anche il film diretto con mestiere da Eric Lavaine non delude le aspettative. Difficile, però, che ci si possa realmente appassionare a una farsa famigliare così chiusa in se stessa, così autoreferenziale, da trasformarsi strada facendo in un piagnisteo borghese condito da isterismi e rivalse famigliari d’ogni sorta.
In Torno da mia madre tutto ruota, infatti, attorno all’impasse lavorativa e alle carenze affettive di una elegante, compita Alexandra Lamy, qui nei panni di Stéphanie Mazerin: donna di mezza età che ha fallito nel lavoro e che si è vista costretta a tornare dalla madre, donna energica (notevole come sempre Josiane Balasko) e all’apparenza molto più combattiva, reattiva. Lavoro perso, “deficit di accudimento” dal sapore quasi morettiano, la vita di Stéphanie sembrerebbe proprio un disastro. Peccato però che questo suo microdramma famigliare dirottato in commedia abbia per cornice una gabbia dorata. Tra le regate del fratello ricco e stronzo, i problemi di coppia della sorella ossessionata dal successo e ancora più stronza dell’altro (al punto di trattare un fin troppo paziente marito da cagnolino ammaestrato), le stesse malinconie della “disoccupata eccellente” appaiono poco credibili. Si ride a sufficienza, del resto, di quei continui litigi, delle ripicche e delle rivalità tra i personaggi in questione, per i quali riunirsi tutti insieme a tavola può diventare l’ennesima sfida all’Ok Corral. Ma a forza di urletti, lacrimoni e scene madre la commedia è destinata ad appesantirsi, anche perché la bravura degli interpreti non è sufficiente a riscattare la mediocrità di uno script, che come unità di misura pone il disagio dei “pariolini” d’oltralpe.

Stefano Coccia

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