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Tolo Tolo

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VOTO: 7

La sua Africa

Parrebbe quasi uno sterile esercizio sofistico, spendere qualche parole su un nuovo film di Checco Zalone. Nella fattispecie su Tolo Tolo, lungometraggio che, sull’onda del fantasmagorico successo al botteghino dei precedenti Sole a catinelle (2013) e Quo vado? (2016), entrambi diretti da Gennaro Nunziante, si appresta ad “aggredire” manu militari il mercato cinematografico italiano con un’uscita in più di mille sale. Forse è cosa ingiusta a prescindere, un tale monopolio. Però è la legge dello show business a dettare le regole d’ingaggio, quindi poco si può fare in proposito. Tolo Tolo allora. E se ne deve parlare – o scrivere – poiché si tratta di un’opera importante. In primo luogo perché è sicuramente il film più ambizioso della carriera del comico pugliese. Poi perché segna l’esordio in solitaria di Luca Medici (alias Checco Zalone) nella regia. Terzo motivo d’interesse il misurarsi con un cinema differente, cioè non modellato sulle peculiarità del personaggio principale – la maschera in evoluzione che lo stesso Zalone si è ritagliato nel tempo – bensì su qualcosa di più ampio. Sarà per la presenza della firma di Paolo Virzì in fase di soggetto e sceneggiatura, con lo stesso Zalone, ma si avverte nitidamente in Tolo Tolo una maggiore attenzione verso la storia nel suo complesso e non la limitazione a quella sorta di pretesti narrativi utili ad inanellare gags a ripetizione come accadeva nei lungometraggi passati. Senza addentrarci in paragoni sconvenienti sembra quasi che Zalone abbia voluto mettere i molti milioni di euro incassati in passato su un tavolo verde per scommettere su un film che prova a far ridere seriamente su un argomento sempre sensibile – soprattutto nel nostro paese, a livello sia politico che sociale – come quello dei fenomeni migratori. E già questo pare un modus operandi, se non proprio da uomo di cinema tout court, perlomeno da persona convinta della bontà del proprio lavoro.
Per il resto Tolo Tolo non deroga ad alcuni pilastri della poetica – decidiamoci a definirla così, non è blasfemia – zaloniana. Il gioco dei paradossi innanzitutto. Nella fattispecie Checco è un povero cristo, eterno sognatore, vessato dalla burocrazia italica (leggere tasse inique) che trova rifugio nell’Africa più turistica per coltivare le proprie ambizioni di rifarsi una vita. Attratto senza soverchie speranze da una ragazza e con amicizie indigene. Poi però arriva l’Isis e le cose cambiano, con Checco costretto ad una nolente full immersion nella dolorosa realtà locale. Con il film che si trasforma da tipico e scontato Zalone-movie sull’inadeguatezza del personaggio rispetto all’esistenza agognata in un viaggio sulle montagne russe tra risate spontanee e istantanee sincere da un terzo mondo di cui Zalone entra a pieno titolo a far parte. In Tolo Tolo ce ne è per tutti: da una politica, italiana (e Salvini non sarà contento) e internazionale, sorda e cieca nei confronti di altri esseri umani, ad un occidente dall’aspetto lindo e da rotocalco – impersonato dalla figura del documentarista e modello francese Alexandre Lemaitre – ma dalla coscienza sporca tipica degli sfruttatori di disgrazie altrui. Ed è in questo frangente che Zalone sfodera il meglio del suo repertorio politicamente scorretto, trasferendo sulle schermo idee di cinema di sicuro interesse. Tralasciando esilaranti camei tipo quello di Nichi Vendola oppure trasformazioni di signori nessuno in personaggi di spicco della politica italiana (a Giuseppe Conte e Luigi Di Maio fischieranno le orecchie), ecco allora improvvisi attacchi di “mussolinismo” (vedere per credere) che colpiscono il protagonista in situazioni di particolare stress; un naufragio di migranti che si trasforma in un geniale momento musical e persino un acido cartone animato in perfetto stile Monty Python a fare da chiosa ad un film molto più serio di quello che può apparire. Da non valutare solo leggendo i dati alla voce incassi.
Verrebbe dunque quasi da definire Tolo Tolo un perfetto contraltare comico-ironico del magnifico Lamerica (1994) di Gianni Amelio. Cambiano solo le coordinate geografiche, ma il mondo era e resta lo stesso, nelle sue iniquità di fondo. Magari, se continua di questo passo, troveremo un film di Zalone in cartellone alla Mostra di Venezia o al Festival di Cannes. E non sarebbe esattamente un’iperbole o una minaccia…

Daniele De Angelis

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