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Pupone

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VOTO: 8

Core de ‘sta città

Sin da giovanissimo Alessandro Guida ci ha abituato a questa sua attitudine, per certi versi davvero encomiabile, magica: saper condensare in film di breve durata storie molto belle, sapientemente strutturate, non prive di una morale senza che ciò le renda predicatorie o retoriche. Altro aspetto della sua intensa attività che col tempo si è fatto molto apprezzare è l’attenzione per l’universo giovanile, mai rappresentato in maniera fiacca, stereotipata, scontata. Sia che questo suo talento per il canale audiovisivo vada a sfociare nella realizzazione di un videoclip, campo che già da un po’ lo vede collaborare con artisti importanti (Tiromancino, Verdena, Ligabue ed Emma Marrone, tra gli altri) nella duplice veste di produttore e regista, sia che valori forti come ad esempio lo sport vadano a puntellare qualche vibrante narrazione cinematografica: non è difatti un caso che lui sia anche tra gli autori de Il Terzo Tempo, bel film di Enrico Maria Artale datato 2013 ed incentrato sul difficile reinserimento in società di un ragazzo problematico, per il quale uno sport come il rugby sarà importante scuola di vita.

Ebbene, ritroviamo tanto lo sport (nella fattispecie il calcio, presente qui con una valenza fortemente catartica e mitopoietica) che certe adolescenze difficili nel cortometraggio, Pupone, che ha debuttato a metà ottobre durante la 14esima Festa del Cinema di Roma, nella cornice così affollata e succosa di Alice nella Città. “Pupone – aveva affermato Alessandro Guida in tale occasione – è la storia di Sacha, un ragazzo che quando compie 18 anni deve diventare grande “per davvero”. Dove crescere vuol dire lasciare la casa famiglia, la sua famiglia acquisita, non poter più vivere protetto dagli educatori e i “fratelli” con cui è cresciuto. Volevo che lo spettatore si immergesse completamente in questa storia ed esplorasse un ambiente sconosciuto affezionandosi a tutti i personaggi.
Se a distanza di parecchie settimane dalla presentazione del corto abbiamo ancora voglia di parlarne, è perché ci sembra che l’obbiettivo inseguito dall’autore sia stato pienamente raggiunto: cast fresco e affiatato, macchina da presa che sta addosso ai personaggi senza risultare mai soffocante, invadente, immagini fortemente simboliche (vedi la culla precedentemente confiscata e poi lasciata in dono, nel bel mezzo di una strada della periferia romana, per aiutare una futura mamma in affanno) nelle quali non vi è però alcuna traccia di artificio.
Ma c’è un altro protagonista, qui, che merita una menzione speciale: Roma. O meglio, il cuore grande di una città cresciuta in modo smisurato, talora selvaggio, ma che attraverso certi gesti può ancora ritrovare la propria identità. Demiurgo evocato attraverso murales e citazioni calcistiche (alcune delle quali molto divertenti: non ce ne vogliano gli amici juventini e laziali, resi oggetto di qualche simpatico sfottò), il “pupone” per antonomasia, ovvero Francesco Totti, non è certo un “convitato di pietra” bensì una presenza palpabile nell’aria, perché di certi modelli una città come Roma ha ancora bisogno, per poter sognare ed affrontare le tante difficoltà quotidiane. Personaggi così sono eroi di una mitologia popolare del tutto degna di essere celebrata. E a questo punto confessiamo pure che nel corso dei titoli di coda, vero inno alla romanità di sponda giallorossa, qualche lacrimone represso a stento durante il sofferto racconto cinematografico cui avevamo assistito è sceso prepotentemente giù. Era l’Urbe stessa a reclamarlo.

Stefano Coccia

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