The final (re)cut
Tutti sappiamo quanto la mannaia della censura possa tagliare le gambe a un’opera, figuriamoci se tale “attività” dovesse essere esercitata in un ufficio di revisione cinematografica di una nazione come l’Iran su film ritenuti troppo vicini alla cultura americana e occidentale, e quindi provocatori e osceni rispetto alle norme culturali e morali del Paese. Ed è quello che la pluripremiata regista e sceneggiatrice Farnoosh Samadi ha voluto rappresentare e al contempo condannare con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa sulla breve distanza dal titolo Titanic, Suitable Version for Iranian Families, fresca vincitrice del premio per il miglior cortometraggio al Castiglione del Cinema Film Festival 2024, laddove ha fatto tappa dopo un lungo e fortunato percorso nel circuito festivaliero iniziato meno di un anno fa al Toronto International Film Festival.
Nel suo nuovo corto, l’autrice ci mostra cosa potrebbe accadere ad esempio a Titanic se dovesse finire nelle mani di figure incaricate di apportare modifiche necessarie a renderlo adatto alle famiglie iraniane in occasione della prima messa in onda televisiva su un’emittente nazionale a oltre vent’anni dalla sua realizzazione. Il tutto va in scena in un unico piano sequenza a camera fissa in modalità kammerspiel che mostra i personaggi ai quali spetta l’ingrato compito di delineare prima un elenco di regole da seguire per individuare le sequenze incriminate e poi come queste dovranno essere tagliate o manipolate in fase di riedizione. Lo spettatore, quasi si trovasse al cospetto di un documentario per il rigore, il tono e il realismo della situazione messa in quadro, assiste allo scempio che porterà il kolossal di James Cameron a mutare nella forma, nei contenuti e nella durata, diventando altro dall’originale, con la bellezza di circa un’ora in meno.
Titanic, Suitable Version for Iranian Families è un’opera tanto preziosa quanto disarmante per il modo lucido e diretto di portare all’attenzione del pubblico, attraverso un’opera potente nonostante la semplicità dell’esecuzione tecnica e narrativa, tematiche importanti e dal peso specifico rilevante. Dietro le accese discussioni che si consumano tra le quattro mura dell’ufficio censura si nascondono rotture più profonde, che rivelano al fruitore la vera natura di un dramma ironico e sottilmente provocatorio che per niente velatamente punta il dito su certe pratiche. La visione della manciata di giri di lancette a disposizione consente, al di là del raccontare una breve vicenda, di conoscere meglio le aberrazioni censorie dell’integralismo islamico ma anche di confrontarsi, come avviene nei minuti conclusivi di portare sullo schermo una riflessione sull’emancipazione e sulla libertà delle donne iraniane (e non solo). L’autrice con un piccolo ma significativo atto di ribellione, seppur clandestino, compiuto da una ragazza rimasta sola nell’ufficio dove lavora, che la vede fumare di nascosto una sigaretta durante una sparatoria all’esterno dell’edificio, rende ancora più potente il pugno che ha deciso di sferrare a chi “governa” il suo Paese.
Francesco Del Grosso