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Tigers

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VOTO: 6

Dentro e fuori dal campo

In pochi si ricorderanno la storia di Martin Bengtsson. Ex promessa del calcio europeo, con un passato anche nelle giovanili dell’Inter, costretto a dover appendere gli scarpini al chiodo giovanissimo a causa di una malattia mentale. La sua vicenda arriva alla quindicesima Festa del Cinema di Roma diretta da Ronnie Sandahl.
Opera seconda del regista svedese classe 1984, Tigers inizia presentandoci un giovanissimo Bengtsson, interpretato dal giovane Eric Enge, il quale firma il suo primo contratto professionista con l’Inter. La vicenda poi alterna situazioni di disagio a spezzoni in cui il talento mostra tutta la sua classe. L’invidia che cresce tra i suoi compagni lo costringerà a subire episodi di bullismo di cui, solitamente, ignoriamo l’esistenza nel mondo del calcio giovanile. Sandahl paragona le giovanili di calcio ad una scolaresca superiore evidenziando le difficoltà a cui vengono esposti i giovani talenti che entrano nel calcio europeo. Il calciatore però si lascerà spesso trascinare in situazioni che lo pongono in evidente difficoltà nell’ambito privato pur riuscendo a raggiungere il suo sogno: esordire in prima squadra.

 Ci troviamo dunque di fronte ad un prodotto estremamente drammatico che tende a demonizzare il mondo del calcio. Balza subito agli occhi l’evidente critica rivolta verso il settore giovanile di una delle squadre europee più blasonate e in generale a quel microcosmo. Ma Tigers è anche l’occasione per toccare con mano e percepire le difficoltà che noi ignoriamo quando vediamo un giovane in campo. Tendiamo a seguire solo le sue gesta sul proscenio, senza preoccuparci minimamente di quello che accade fuori. E’ proprio quello che accade al di fuori del rettangolo di gioco però che incide sulla psiche di un calciatore distinguendolo tra un campione ed una meteora. La storia di Bengsston ha un climax a metà film per poi cominciare una vertiginosa parabola discendente che lo porterà verso la fine della sua storia (narrata nei titoli di coda da alcune didascalie). Oltre alla forte drammaticità rispecchiata nel film, si nota anche un ritmo molto lento che appiattisce il prodotto nonostante la schiera di emozioni vissute nel corso dei primi minuti della proiezione. Davanti ad una situazione simile risulta difficile per il pubblico sposare la mentalità di un giovane che troppo spesso si lascia traghettare su percorsi sbagliati. E forse il demerito v rivontrato nell’interpretazione acerba e poco incisiva del giovane protagonista. Lo stesso club calcistico milanese ha concesso il suo assenso a girare alcune scene presso lo stadio Giuseppe Mezza in San Siro, nella sede nerazzurra ed al centro sportivo Interello. L’intervento della società milanese consente al film di risultare fortemente veritiero visti anche i consulti con l’ex direttore generale dell’Inter e con diversi manager che hanno vissuto Bengsston in prima persona. Essendo ambientato prettamente in Italia, in particolar modo a Milano, non potevano mancare interpreti nostrani. Alla produzione partecipano Lino Musella, recentemente nelle sale con Lasciami Andare di Stefano Mordini, Gianluca Di Gennaro e Daniele La Leggia, nei panni di due calciatori nerazzurri, e Antonio Zavatteri nel ruolo del medico sociale dell’Inter. Vista da vicino l’opera risulta essere lenta e interminabile ma è difficile restare in disparte nel guardare un giovane passare dalle stelle alle stalle. La storia di Martin Bengsston meritava di essere raccontata, ma la produzione ha costruito un film che alla lunga risulta troppo cupo e non propriamente orchestrato, pur essendo consapevoli dell’importanza della storia narrata.

Stefano Berardo

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