Medici in prima linea
Chi come noi ha ancora davanti agli occhi alcuni degli assolo più riusciti firmati da Johnnie To nella sua prolifica carriera dietro la macchina da presa, non potrà fare altro che confermare quanto ci apprestiamo a dire a proposito della sua ultima fatica dal titolo Three, presentato in concorso alla 26esima edizione del Noir in Festival (kermesse dove il regista hongkonghese si è già imposto con Vengeance nel 2009). Ultima si fa per dire, perché non si fa in tempo a scriverne che bisogna andare subito ad aggiornare la sua filmografia con un nuovo tassello. Annunciato e già in cantiere, infatti, il suo prossimo film, ossia l’antologico Baat Bou Bun, del quale ha firmato uno dei capitoli.
Cominciamo con il dire che Three è la seconda delusione che To ci ha regalato nel giro di una manciata di stagioni dopo Office. E credeteci lo diciamo con la morte nel cuore vista la profonda stima che nutriamo nei suoi confronti. Per cui non abbiamo nessuna intenzione di girarci intorno, manifestando apertamente tutto il nostro dispiacere. La colpa è tutta sua, perché evidentemente in passato ci ha viziato e abituato davvero troppo bene, con opere che sono scolpite a caratteri cubitali nella nostra mente. Chi come noi, infatti, ha avuto la fortuna di vedere negli anni pezzi da novanta della sua sterminata filmografia come ad esempio PTU, The Heroic Trio, A Hero Never Dies, The Mission, Fulltime Killer, Breaking News, Throw Down, i due capitoli di Election, Exiled, Drug War e il già citato Vengeance, non può assolutamente accontentarsi delle briciole gettate sullo schermo con Three.
Così dopo il musical a sfondo finanziario, To ha parzialmente fallito anche l’appuntamento con l’action-thriller ospedaliero. Ma se il genere con il quale si è andato a confrontare con Office era per lui una novità assoluta, che ci ha convinto a chiudere un occhio ritenendolo un piccolo e innocente peccato di gola, questa volta purtroppo non possiamo soprassedere su quella che riteniamo un’opera ben al di sotto degli standard e della bravura del cineasta e produttore asiatico. Non possiamo perché il genere in questione, ossia l’action-thriller, è il suo cavallo di battaglia e con esso difficilmente ha mancato il bersaglio. Stavolta è successo e dobbiamo farcene una ragione. Certo è accaduto anche altre volte, ma la percentuale e il margine di errore era risultato piuttosto basso. Sulla base di queste considerazioni, Three è per quanto ci riguarda un film fatto con la mano sinistra da un regista che amiamo svisceratamente e che, proprio per questo, speriamo torni a regalarci quanto prima le mirabilie donate in passato.
Ciononostante abbiamo voluto comunque assegnargli una sufficienza in pagella, poiché la timeline di Three contiene al suo interno qualche flebile appiglio al quale aggrapparci per riuscire a mandare giù il boccone amaro. Appigli che però non vanno rintracciati nella scrittura e nell’architettura drammaturgica, semmai nella componente tecnico. To solo di rado ha sbagliato l’approccio stilistico alla materia e, infatti, è in esso che va trovata la scialuppa di salvataggio. L’epilogo balistico è la vera nota positiva dell’intera operazione, con un lunga sparatoria in piano sequenza che per efficacia non eguaglia quella iniziale di Breaking News o quelle finali di Exiled e Vengeance, ma quantomeno ripaga il prezzo del biglietto. Il cineasta hongkonghese sa come dare vita a uno show cinetico di grande effetto, affiancando alla maestria tecnica anche un buon utilizzo della CGI e degli effetti di post-produzione, a cominciare dai continui cambi di ritmo con accelerazioni e decelerazioni. Ma la regia è davvero l’ultima cosa che si può mettere in discussione quando dietro la macchina a da presa siede uno come Johnnie To.
Piuttosto, il tallone d’Achille è lo script, con storia e personaggi che sembrano solo scimmiottare pellicole occidentali del medesimo filone. To e il suo film rimangono imbrigliati come poche altre volte in passato in una trama mistery visibilmente artificiosa (come accaduto in Blind Detective), che di interessante ha solo la battaglia psicologica che si consuma tra i corridoi, le sale operatorie, le corsie e gli spazi comuni del Victoria Hospital, unica location (come in Office) nel quale dare vita a una guerra a tutto campo tra i due schieramenti classici (guardie e ladri) chiamato in causa e un terzo incomodo, ossia il personale ospedaliero guidato dalla dottoressa Tong Qian. Può bastare? Per quanto ci riguarda no.
Francesco Del Grosso