Con la sola imposizione della mente
La bravura e l’intelligenza di un regista sta anche nella capacità di cambiare pelle e di cambiarla al proprio cinema. Molti cineasti però preferiscono e hanno preferito rimanere confinati volontariamente o per volontà altrui (le possibilità offerte dal mercato) tra le mura amiche della cosiddetta comfort zone, laddove probabilmente per molti di loro si sono venute a creare le basi per una continuità lavorativa e per restare attaccati al treno del mondo al quale appartengono professionalmente. Ci vuole, dunque, una buona dose di coraggio per decidere di varcare quei confini, poiché dietro ogni cambiamento, anche minimo, ci sono rischi e varianti in grado di vanificare quanto fatto sino a quel momento, causando al diretto interessato una caduta verticale e rovinosa. Tra quelli che hanno avuto il coraggio di uscirne, scegliendo di percorrere altre strade che non fossero quelle già ampiamente battute in precedenza nel corso della propria carriera, c’è Joachim Trier.
Con la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Thelma, nelle sale nostrane a partire da 21 giugno con Teodora Film dopo le anteprime festivaliere a Toronto e Londra, di fatto il regista norvegese di rischi se n’è presi un bel po’, virando verso un tipo di film la cui storia e il mix di generi al quale appartiene confluiscono in un magma cinematografico in gran parte nuovo nel corpus della sua filmografia. Trier ha saputo cambiare pelle e lo ha fatto con un’opera, la quarta sulla lunga distanza, con la quale è andato a esplorare zone mai battute prima dal suo cinema, senza però snaturarlo e depotenzializzarlo, portando con sé alcuni elementi riconoscibili del suo modo di fare e concepire la Settima Arte, oltre ad alcune tematiche come il peso e le responsabilità dei legami familiari.
È sufficiente andare a leggere la sinossi per rendersi conto cosa si sia andato a innestare nel DNA originale del cinema di Trier e quali riferimenti lo abbiamo guidato nel processo creativo. Un processo, questo, che ha visto il suo stile e l’approccio tecnico rimanere inalterati e riconoscibili, rinforzandosi ancora di più grazie a una serie di soluzioni visive di grande efficacia (basta vedere l’uso dei lenti carrelli ottici in avvicinamento). Bisogna però capire se tale cambiamento sia solo una parentesi, oppure l’inizio di un’inversione netta di rotta. Solo il prossimo lavoro potrà dircelo.
Protagonista del film è Thelma, una timida ragazza di provincia cresciuta in una famiglia molto religiosa e appena arrivata a Oslo per frequentare l’università. Qui conosce Anja e presto l’amicizia tra le due si trasforma in un sentimento più profondo: proprio allora, però, Thelma scopre di avere dei poteri inquietanti e incontrollabili, legati a un terribile segreto del suo passato… Ovviamente per scoprire quale sia il segreto che mette a rischio l’incolumità della protagonista e quella dei suoi affetti di ieri e di oggi dovrete andare nella sala più vicina a voi, dove la pellicola sarà in programmazione. Tuttavia alcuni ingredienti del menù di Thelma sono fin troppo evidenti sin dalla carta, a cominciare da quei temi come la ricerca della propria identità che vanno a confluire in uno script dove generi come il thriller, l’horror, il dramma e la fantascienza, si mescolano senza soluzione di continuità, contaminandosi a vicenda, sino a generare un’opera tesa come una corda di violino. La costruzione, l’accumulo, la crescita e la conseguente implosione sullo schermo della tensione, sono l’elemento di forza dell’operazione, ciò che le consente di tenere alta la suspence dal primo all’ultimo fotogramma utile, merito di una scrittura che sa come sfruttare al meglio le componenti drammaturgiche a disposizione.
La linea mistery regge il peso delle quasi due ore di durata, salvo alcune incertezze nella parte centrale che fanno scricchiolare l’impalcatura generale, grazie a repentine salite che accelerato il battito cardiaco dello spettatore (vedi le scene ambientate nella biblioteca dell’università, del teatro dell’Opera, dell’ospedale e della piscina) e a un efficace palleggio tra il detto e non detto che ci porta diritti sino allo svelamento della verità. Svelamento, questo, che si consuma gradualmente sotto gli occhi dello spettatore di turno, costretto a fare i conti con un thriller che gioca tutto sulle atmosfere e sul sali e scendi di tensione e ansia che caratterizzano la one line di Thelma. Quest’ultima, interpretata da una convincente Eili Harboe (un plauso però va a tutto il cast, dove spicca Henrik Rafaelsen nel ruolo del padre), è il motore portante che traghetta la storia e i suoi fruitori in un incubo ad occhi aperti dove il reale e il sovrannaturale entrano continuamente in rotta di collisione mixando i due piani. Ed è lampante che se nei lavori precedenti, come per sua stessa ammissione, Trier aveva rivolto lo sguardo al cinema di Ingmar Bergman, qui quello stesso sguardo si è andato ad alimentare di ben altri riferimenti che strizzano l’occhio tanto all’Argento di Phenomena quanto al David Cronenberg di The Dead Zone o al De Palma di Carrie. Il tutto con le debite distanze del caso.
Francesco Del Grosso