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The Sleeper

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VOTO: 6.5

Nelle nostre stanze vuote

La cronaca (nera) degli ultimi decenni ci ha insegnato che i processi prima che nelle aule di tribunale sono soliti essere consumati sulla carta stampata e nel piccolo schermo. Vere e proprie gogne mediatiche che non tengono minimamente in considerazione le possibili ripercussioni sull’opinione pubblica. Vale, infatti, la regola dello sbatti il “mostro” in prima pagina per saziare la fame di giustizia sommaria e per placare la rabbia e lo sdegno popolare. Ed ecco qui fiumi di inchiostro versati e interi palinsesti televisivi dedicati al caso del giorno destinato a fare parlare di sé per un breve o lungo lasso di tempo.

Le protagonisti di The Sleeper, il documentario breve co-diretto a sei mani da Alex Gerbaulet, Mirko Winkel e Tim Schramm, presentato in anteprima mondiale alla 68esima Berlinale nella sezione “Forum Expanded” e in concorso al 38esimo Filmmaker Festival, loro malgrado in questo calderone sono state gettate per i fatti di sangue delle quali si sono macchiate. Margit è nata nel 1931 in Sassonia, Irina nel 1945 in Siberia, ma si è poi trasferita con il marito in Germania. Le loro biografie sono accomunate da trafiletti di cronaca sui giornali: “Non dà nell’occhio”, “Ha vissuto reclusa nella sua casa” scrive il Göttinger Zeitung di Margit. Una donna “anonima”, che non usciva mai dal suo appartamento: così dieci anni dopo l’Hamburger Abendblatt descrive Irina. Entrambe risucchiate nel ruolo di madri, casalinghe e mogli, assurgono agli “onori” della cronaca per aver ucciso i loro mariti.
Le loro esistenze sono al centro di un’opera ibrida che mescola senza soluzione di continuità realtà e finzione, laddove la linea che separa i due estremi si è fatta talmente labile da svanire e non permettere allo spettatore di turno di capire dove termina l’una e comincia l’altra. Per farlo il trio tedesco riavvolge le lancette dell’orologio, cancella i corpi dalle scene (dei delitti) trasformandoli in entità “ectoplasmatiche” e si concentra unicamente sulle topografie domestiche e sulle superfici che le compongono, quest’ultime catturate con simmetrie, composizioni e geometrie chirurgiche che fanno dell’immobilità la cifra stilistica che le rappresenta sullo schermo. Da qui una successione di quadri fissi, “nature morte” e stanze vuote riempite dal silenzio e dai racconti orali delle due donne. Il tutto per dare origine ad un’ipnotico e claustrale flusso verbale, emozionale, mnemonico e di coscienza, che genera a sua volta una sorta di “mosaico” narrativo fatto di frammenti delle loro esistenze prima che queste finissero nell’abisso.

Ne viene fuori un lavoro sulla spazio e sulla memoria che vi rimane impressa, sull’orrore quotidiano che si nasconde dietro la porta, che fa di The Sleeper un pugno veloce e mirato alla bocca dello stomaco del fruitore se visto in una chiave strettamente attuale e non come un mero esercizio di stile. Un cortometraggio, questo, che se analizzato e letto con la giusta attenzione può dire tanto dei giorni nostri, della Società violenta, giudicatrice, spietata e al contempo indifferente nella quale viviamo. Ciò fa di The Sleeper una vera e propria radiografia.

Francesco Del Grosso

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