Home Festival Altri festival The Communist

The Communist

156
0
VOTO: 7

Il cielo sopra Berlino Est

Il termine russo “nomenklatura”, utilizzato per definire quell’apparato di dirigenti emanato e approvato dal Partito in epoca sovietica, quella cricca di dirigenti riunita in un politburo, è entrato in uso anche nel nostro vocabolario, dove è diventato sinonimo del grigiore di un sistema di burocrati, di un apparato di regime ormai obsoleto e inutile, una gerontocrazia che mantiene saldo il potere. Accezione ovviamente suggerita dalla decadenza del sistema sovietico confluita poi con il crollo del muro di Berlino e con la dissoluzione dell’URSS e dei governi socialisti dell’Europa dell’Est. Un uomo da nomenklatura, non sovietica ma della DDR, è stato sicuramente Klaus Gysi (1912-1999), la cui vita politica è raccontata dal figlio Andreas Goldstein, che abbiamo scoperto con Adam und Evelyn all’ultima Settimana della Critica veneziana, nel film Der Funktionär, il cui titolo internazionale inglese è però significativamente The Communist, presentato in concorso a Filmmaker Festival 2018.

Klaus Gysi ha combattuto nella resistenza in Francia, è stato un editore, e poi parlamentare, e ha ricoperto svariati incarichi governativi, segretario di stato per gli affari religiosi, Ministro della Cultura, ambasciatore a Roma, segretario generale per la sicurezza e la cooperazione europea. Già il suo ruolo per gli affari religiosi, che svolgeva con lunghe sedute e riunioni con i rappresentanti alti del clero, e che tutt’ora ha come lascito la sinagoga dell’ex-Berlino Est, smentisce o contraddice quell’ateismo di stato di cui abbiamo sempre pensato essere il cardine dei paesi d’oltrecortina. E in effetti quello che emerge, con The Communist, è proprio una storia alternativa, dal loro punto di vista, dei paesi del blocco sovietico, diversa da quella che ci hanno sempre raccontato, nella visione dei vincitori della guerra fredda, di chi, come il presidente Reagan, definiva l’Unione Sovietica come l’impero del male. Un’illusione, un’utopia probabilmente, ma vale la pena conoscerla.
Klaus Gysi aderisce al socialismo dopo un trauma, che Andreas Goldstein racconta e fa riemergere più volte. Nella visione sulla strada da quella stessa finestra, con cui si apre il film, della casa di famiglia, di un lavoratore manifestante ucciso da un colpo da fuoco dalla polizia. Un’immagine che risale a quando Gysi aveva quindici anni, che si sarebbe portato dietro per tutta la vita. La sua visione, la sua concezione del mondo è riportata con fedeltà, con rispetto anche laddove possono emergere delle ingenuità. E sembra condivisa anche dallo stesso Goldstein che ricorda quei carri armati sovietici, la “nostra garanzia”. La DDR viene definita come un paese aperto, preferibile alla Repubblica Federale anche da chi non fosse comunista. Un luogo dove poter riporre le proprie speranze. Klaus Gysi afferma in un dibattito televisivo che l’ideologia e la cultura debbano pervadere ogni aspetto della vita. E dopo la caduta del muro si chiederà, sempre in un’intervista televisiva, se la sua vita abbia avuto un senso. Rimane quella sinagoga di cui sopra, a mostrare il suo lascito paradossalmente in un luogo di culto. Nella storia dell’uomo politico trapela però anche quello che era il sistema autoritario di potere, quando questi venne indagato ed emarginato dal partito, di cui faceva parte, in quello che è definito il suo delitto e castigo.

Stilisticamente il lavoro di Andreas Goldstein è quello di un diario in prima persona con la sua voce off, che si traduce visivamente in un patchwork di materiali eterogenei, filmati e immagini d’archivio, foto attuali dei luoghi, spesso sfuocate, come sono ora, le cartoline dall’Italia, lettere. A rimanere costanti sono invece le immagini del padre che appartengono al repertorio televisivo, interviste, dibattiti, partendo dalle vecchie e sfumate riprese in bianco e nero per arrivare a quella più definita e a colori del post-comunismo. A queste si aggiunge la sua voce presa da un programma alla radio. Goldstein sceglie quindi di raccontare il padre esclusivamente nel suo ruolo, e nella sua immagine, pubblici. Poco importa la vita privata, che lui stesso aveva sacrificato per gli ideali. Si accenna soltanto al fatto che abbia avuto tre mogli. E Goldstein ha ritrovato un’unica foto dei genitori insieme, e anche le lettere d’addio del padre alla madre, dopo la separazione, sono state da lei bruciate.
Sono immagini melanconiche quelle contemporanee di The Communist, i muri scrostati del cortile della casa paterna, le strade sotto la pioggia, i sentieri tra le betulle d’autunno, una Alexanderplatz metafisica di una foto in bianco e nero alla caduta del muro. Sono le immagini decadenti di un paese ormai dissolto, la storia di chi ha creduto a un’utopia.

Giampiero Raganelli

Articolo precedenteThe Sleeper
Articolo successivoPierino

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

15 + 8 =