Pazzi contro alieni
La gallina vecchia si sa fa buon brodo, ma se la si spreme sino all’ultima goccia si rischia di avere il risultato opposto, vale a dire una brodaglia insipida da mensa ospedaliera. Questo per dire che i detti popolari pronunciati chissà quando dai saggi di turno a volte possono anche fare dei bei buchi nell’acqua, tanto grandi da vedere una nave andare a picco. E di barche sprofondate nell’oceano della mediocrità, mai arrivate in porto, nella storia della Settima Arte ne abbiamo viste tante, con i relativi relitti che ancora giacciono sui fondali degli abissi della dimenticanza. Lì, tra qualche anno a questa parte avremo modo di trovare anche The Predator, quarto capitolo del franchise dedicato agli yautja, la specie aliena immaginaria protagonista della serie per il grande schermo il cui primo atto risale all’ormai lontano 1987, quando John McTiernan deliziò le platee di tutto il mondo con un fanta-horror divenuto un cult. Da quel momento una lenta caduta rovinosa con almeno due sequel (il terzo capitolo, Predators di Nimród Antal, si tiene miracolosamente a galla) e altrettanti crossover (gli Alien vs. Predator) da dimenticare.
E ci pensa l’ultimo (speriamo davvero) atto firmato da Shane Black, nelle sale a partire dall’11 ottobre, a grattare il fondo del barile, dando il colpo di grazia alle residue speranze di rivedere la celebre creatura aliena in azione in un film degno di nota. Del resto, è piuttosto frequente assistere a certe scivolate, specialmente quando ci si trova a fare i conti con saghe che hanno esaurito la benzina nel motore, con gli sceneggiatori e i registi di turno completamente a secco di idee. In tal senso, la lista è vasta e comprende titoli illustri che per questione di spazio non stiamo qui a elencare. Fatto sta, che dalla pellicola del 1987 il patrimonio invece di essere conservato e onorato è stato completamente dilapidato da coloro che, pur di dare un seguito a un plot che si era ampiamente consumato all’epoca, si sono narrativamente e drammaturgicamente arrampicati sugli specchi sino a partorire lo script assolutamente delirante e inconsistente di The Predator. E la cosa che più dispiace, oltre al fatto di essere stati i testimoni oculari della pugnalata fatale, è che tra i carnefici vi sia anche un regista come Black, capace con le esperienze passate sulla lunga distanza (Kiss Kiss Bang Bang e The Nice Guys) di regalare soddisfazione a se stesso e in primis al pubblico. Persino alle prese con un sequel atteso come Iron Man 3 se l’era cavata egregiamente, tanto da non fare ripiangere il suo predecessore Jon Favreau.
Purtroppo l’impresa qui non gli è riuscita, in primis come sceneggiatore e in seconda battuta come regista, nonostante il legame affettivo con il Predator di McTiernan, che lo aveva a suo tempo visto impegnato davanti la macchina da presa nel ruolo di Hawkins. Black fallisce su tutti i fronti, fatta eccezione per qualche assolo action sparpagliato qua e la nella timeline. La scelta di affiancare ai toni originali dei precedenti uno stucchevole humour nero da buddy movie cameratesco è un mossa sbagliata che costerà cara a lui e all’intero progetto. Il risultato a conti fa non fa ridere e neanche intrattiene quel minimo da ripagare il prezzo del biglietto quando si passa dai sorrisi ai fatti o la messa in quadro concede qualche momento splatter alla platea. Regali, questi, che ci risentiamo di rispedire indietro al mittente con un categorico: no grazie!
Anche questa volta cambiano tutte le carte in tavola e salvo alcune rimandi e accenni al capostipite della quadrilogia, a parte l’alieno, il cast e i personaggi sono nuovi di zecca. In The Predator dai confini dello spazio inesplorato, la caccia arriva nelle strade di una piccola cittadina. Dunque, niente giungla né vegetale né metropolitana come scenario della reinvenzione della serie voluta da Black. Geneticamente modificati, attraverso la combinazione dei DNA di specie diverse, i cacciatori più letali dell’universo sono adesso ancora più pericolosi, più forti, più intelligenti. Ma ciò non comporta un innalzamento dell’asticella, ma al contrario un drastico abbassamento del livello di spettacolarità. Quando un ragazzino innesca accidentalmente il loro ritorno sulla Terra, solo un gruppo di ex soldati e una disillusa insegnante di scienze può impedire la fine della razza umana. E questo è quanto l’immaginazione, evidentemente in letargo, di Black & Co. sono stati in grado di partorire per un film che si piazza temporalmente tra il secondo e il terzo capitolo della saga. Quello datato 2010 quindi viene in qualche modo disconosciuto e cancellato (sembra di avere un deja vu ripensando a quanto accaduto con Highlander) da Shane Black che, a differenza delle intenzioni iniziale della produzione, ha preferito fare un vero e proprio sequel e non un reboot della saga. Ora non sappiamo se le cose sarebbero andate diversamente (e forse un giorno, vista la tendenza, lo sapremo), ma una cosa è certa: quello che abbiamo visto sullo schermo è andato moltissimo al di sotto delle aspettative già basse. Il fatto che ci fosse lui al timone ci aveva fatto sperare, perché la speranza è sempre l’ultima a morire. Ma qui bastano i primi venti minuti a farla sciogliere come neve al sole.
Francesco Del Grosso