Anna dei miracoli
C’è sempre qualcosa di estremamente coerente nel percorso artistico di un cineasta come Xavier Giannoli. Uno spunto narrativo scaturito da un fatto insolito che l’autore transalpino non approfondisce mai del tutto, limitandosi ad annotare reazioni e conseguenze che esso porta. Esattamente come accaduto in À l’origine (2009), Superstar (2012) oppure nel più recente Marguerite (2015). Nel caso de L’apparizione, sua ultima fatica, mette di fronte un giornalista non credente, nonché reduce dalla traumatica esperienza della morte di un collega e amico, al mistero dei misteri, ovvero una ragazza poco più che adolescente, Anna, la quale afferma di essere venuta a contatto con la Vergine Maria, apparsa a più riprese ai suoi occhi non senza averle consegnato messaggi di pace e amore universali. Le alte sfere del Vaticano istituiscono la commissione d’ordinanza per l’indagine di rito, chiedendo a Jacques Mayano – questo il nome del giornalista, piuttosto noto nel proprio campo – di presiederla.
Come si evince da queste stringate note diegetiche, molte sono le questioni che un’opera del calibro de L’apparizione pone in essere. In primis la contrapposizione tra Verità oggettiva e Fede religiosa. Sono questi elementi realmente inconciliabili? Sarà mai possibile trovare un compromesso tra l’esigenza di comprensione da parte di un uomo abituato, per lavoro, a ricercare una parvenza d’ordine nel caos e la totale adesione ad una religione composta da immagini sacre tramandate nel corso dei secoli? Giannoli sceglie la strada più semplice e corretta: osserva guardandosi bene dal fornire la benché minima risposta. E risulta molto efficace, da un punto di vista antropologico, quando annota con la macchina da presa i sommovimenti circostanti all’evento. L’invasione dei pellegrini sui luoghi della presunta apparizione multipla – un paesino montano della Francia – e la loro fame assoluta di speranza in qualsivoglia miracolo. Ma anche il business che si scatena attorno ad esso, con gente priva di scrupoli – anche e soprattutto appartenente a fantomatici ordini religiosi – pronta a tutto per garantirsi un ingente guadagno. Un meccanismo deteriore, sebbene ampiamente verosimile, che condurrà l’intera faccenda verso sbocchi drammatici ma, purtroppo, tutt’altro che imprevedibili.
Su questo materiale così denso e pregno di interrogativi, il regista non può far altro che innestare una sorta di sottotrama gialla, tesa a svelare segreti non rivelabili sia per i personaggi che per gli stessi spettatori, che probabilmente disperde parte del rigore nella messa in scena sin lì esibito. Aggiungendo però altre significative istanze al lungometraggio, sulla propensione al sacrificio – riguardo il personaggio di Anna – e al martirio ricercato come via primaria alla santità. Anche per questi motivi L’apparizione è un’opera che resta fortemente impressa nella mente di chi la guarda, a maggior ragione se intellettuale e parzialmente ateo come Jacques Mayano, figura di riferimento della quale il film sposa essenzialmente il punto di vista. In un modo peraltro molto efficace grazie anche alla solidissima interpretazione di un misurato Vincent Lindon, ormai da tempo interprete che rappresenta una garanzia assoluta per ruoli di questo tipo. Sebbene la vera rivelazione sia Galatéa Bellugi nel ruolo di Anna, dal cui volto e corpo minuto traspaiono tutte le gioie ed i dolori per una scelta di vita definitiva e perciò del tutto irreversibile. Componenti che sommate una all’altra rendono L’apparizione un’opera forse imperfetta ma di certo quintessenziale come istantanea di un’umanità irrimediabilmente destinata a ripetere sempre i medesimi errori. Nonostante il singolo individuo cerchi, tanto disperatamente quanto inutilmente, di porvi rimedio.
Daniele De Angelis