Così lontani, così vicini
Portare sul grande schermo la propria vita o parte di essa non deve essere semplice, poiché significa “spogliarsi” davanti agli occhi di moltissimi spettatori di turno. Raccontare storie personali e frammenti di esse significa mettersi a nudo, quasi fosse una confessione pubblica. Questi racconti per immagini e parole possono rivelare segreti, verità o clamorose scoperte, taciute e nascoste per moltissimi anni prima di venire a galla con al seguito tutto il loro carico psicologicamente devastante.
Per la sua ultima fatica dietro la macchina da presa, presentata alla sesta edizione del Bif&St dopo l’anteprima alla 65esima Berlinale, Margarethe von Trotta ha deciso di attingere proprio dal suo passato, in particolare da una scoperta che, come un fulmine a ciel sereno, si è abbattuta sulla sua vita, stravolgendola. Una volta romanzata con le modifiche del caso, questa è diventata la tela drammaturgica sulla quale la regista tedesca ha disegnato il plot e i personaggi che lo animano. Il risultato è The Misplaced World (Die abhandene Welt il titolo originale), dramma familiare dalle tinte mistery, che narra la storia di Sophie, cantante jazz, che riceve una telefonata urgente dal padre, Paul Krombach. L’uomo le vuole mostrare una foto sul sito di un giornale americano raffigurante una donna che ha una straordinaria e inspiegabile somiglianza con sua moglie, la madre di Sophie morta da poco. Paul chiede alla figlia di rintracciare la donna della foto, Catarina Fabiani, una celebre cantante d’opera. Nonostante i dubbi, per compiacere il padre, la protagonista accetta con riluttanza. In volo per New York, non potrebbe mai immaginare le rivelazioni che la attendono su sua madre, suo padre e su se stessa.
Ancora una volta, la von Trotta pone al centro della narrazione e delle sue dinamiche la donna. Ciò le consente di confermare il suo indubbio talento nel sapersi avvicinare ad un argomento e riuscire a trattarlo con grande sensibilità, prediligendo uno sguardo tutto al femminile. Con The Misplaced World aggiunge così un nuovo ritratto alla sua galleria cinematografica, con la differenza che questa volta non prende spunto dalla Storia e dalle vicende del suo Paese, ma da un’esperienza personale. Una simile scelta cambia di fatto l’approccio alla materia drammaturgica di una cineasta che, sin dagli esordi con Il caso Katharina Blum e con pellicole successive come Anni di piombo, Rosa L., Rosenstrasse e Hannah Arendt, ha mostrato una predilezione per ciò la circondava, anche quando la sfera intima veniva fagocitata da quella pubblica come nel caso della travagliata storia d’amore tra Konrad e Sophie, ostacolata dal Muro di Berlino, ne La promessa.
Il film la costringe per la prima volta a fare i conti con se stessa, con la sua identità e non con quella della nazione d’appartenenza, ma soprattutto a guardare tra le quattro mura della propria esistenza e questo provoca nella regista un evidente “cortocircuito emozionale” che la frena, spingendola a non azzardare o a intraprendere sperimentalismi ma, al contrario, a proporre una scrittura piuttosto lineare e meno coraggiosa rispetto al passato, ma comunque efficace e piacevole. Peccato per una parte centrale nella quale la narrazione si accomoda un po’ troppo. Il tutto condito con insoliti tocchi di leggerezza e ironia che raramente hanno fatto capolino nel suo cinema. In un’alternanza di tempi densi di dolorosi ricordi e di spazi geograficamente lontani che spostano di continuo l’azione tra New York e Berlino, The Misplaced World è un film che trova il suo giusto ritmo dopo aver arrancato, nel dipanarsi della vicenda, anche grazie a un cast affiatato e pieno di vecchie conoscenze (in primis Barbara Sukowa e Katja Riemann).
Francesco Del Grosso