Il canto dell’ultima Selkie
Nel cinema di Tomm Moore, che pur con pochi lungometraggi all’attivo già si staglia nel panorama dell’animazione mondiale come un gigante, l’elemento magico rientra sicuramente tra gli aspetti più affascinanti della narrazione. Il pubblico del meraviglioso La canzone del mare (Song of the Sea il titolo originale) può rendersene conto con estrema facilità. Ma anche nel precedente The Secret of Kells, dove la storia dell’Irlanda riviveva a suon di scorrerie vichinghe e di raffinate miniature messe al sicuro nei conventi, si assisteva spesso e volentieri al manifestarsi di qualche evento prodigioso, messo ovviamente in relazione con il retaggio tradizionale della cultura celtica.
I due film condividono al momento un’altra prerogativa, che però ha in sé qualcosa di assai sconfortante: non aver ancora trovato una distribuzione in Italia, nonostante certe prestigiose referenze a livello internazionale, tra cui l’esser stati entrambi candidati agli Oscar. Per fortuna qui da noi ci ha pensato l’Irish Film Festa a valorizzare un po’ il cinema di Tomm Moore. A partire proprio da The Secret of Kells, la cui proiezione, nel 2010, era stata preceduta da un’affascinante conferenza sulla mitologia irlandese condotta per l’occasione da Kay McCarthy, grande esperta di tale materia.
Quanto a Song of the Sea, l’anteprima italiana è in questo caso da ricollegare alla sua presenza in “Alice nelle città”, durante le giornate del Festival di Roma 2014. Ma da un certo punto di vista il nuovo gioiello del vulcanico cineasta irlandese, figura di primo piano nella creazione della compagnia Cartoon Saloon (società con cui sono stati realizzati entrambi i lavori, grazie a quel regime di co-produzione internazionale pratico e intelligente, che da loro sta funzionando a meraviglia), sembra aver trovato ancora una volta la sua collocazione più genuina alla Casa del Cinema, storica sede dell’Irish Film Festa. Sarà anche perché, emulando in piccolo l’evento creato intorno al precedente lungometraggio, a introdurre le tematiche folkloriche e spirituali di Song of the Sea è stata di nuovo Kay McCarthy, studiosa che si è soffermata al lungo sul significato della splendida canzone che accompagna tutta l’opera, come anche su altri riferimenti alla cultura gaelica ivi presenti.
In Song of the Sea, del resto, quel retroterra magico e ancestrale che aveva fatto già capolino nel lungometraggio d’esordio sboccia in tutta la sua magnificenza. Sin dalle scene iniziali si viene introdotti in una dimensione particolare, dove presenze legate ad antichi miti vengono a contaminare (forse per l’ultima volta) l’Irlanda di oggi. Suggestiva è l’immagine dell’isoletta col faro puntato sull’oceano, dove i fratellini Saoirse e Ben vivono assieme al padre, uomo solitario che non si è mai completamente ripreso da una notte di tregenda: quella in cui la sua compagna scomparve misteriosamente in mare, dopo aver dato alla luce la piccola Saoirse.
Ma proprio la bimbetta, assai legata al fratellino ed eppur così diversa da lui, sarà la chiave d’accesso a quel mondo fatato che ricollocherà tutti gli eventi sotto una luce diversa. Perché lei, al pari della madre, è una Selkie, creatura marina dai poteri magici in grado di riportare equilibrio. E dalla scoperta di questa sua natura parte l’avventura dei due bambini, tra modernità e antiche leggende, tra continui pericoli e miracolosi salvataggi, fino a una parimenti strabiliante riscoperta delle radici pagane dell’Europa, la cui essenza si manifesta, sullo schermo, attraverso un epilogo commovente e di notevole potenza visiva.
Proprio qui, nel sovrapporsi di tematiche originali e di spessore a un’animazione tradizionale resa meravigliosamente bene, a partire dall‘uso del colore, si completa e si definisce la portata di un film animato, tra i più belli che si siano visti negli ultimi anni.
Stefano Coccia