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La figlia oscura

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VOTO: 5

Un tuffo nel passato

Il rapporto madre-figlia, l’abbandono, passato e presente che si incontrano. Queste sono da sempre tematiche particolarmente care alla scrittrice Elena Ferrante. Così è stato per i suoi romanzi “I giorni dell’Abbandono” (2002) e “L’amica geniale” (2011) e così è anche per “La figlia oscura” (2006), il quale ha colpito a tal punto la celebre e acclamata attrice Maggie Gyllenhaal da spingerla addirittura a voler realizzare la sua opera prima da regista. Così, dunque, ha visto la luce The Lost Daughter (per la versione italiana La figlia oscura), presentato in concorso alla 78° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Un film che si avvale soprattutto dell’ottima performance di Olivia Colman e che spesso si addentra in sentieri fin troppo ostici. Ma andiamo per gradi.

Leda (la Colman, appunto) è una professoressa universitaria di mezza età che decide di trascorrere alcuni giorni in vacanza da sola in una piccola località balneare. Un giorno la piccola spiaggetta in cui è solita rilassarsi viene “invasa” da una famiglia numerosa e chiassosa. Nonostante il disagio, Leda verrà colpita dalla giovane Nina (impersonata da Dakota Johnson) e dalla sua figlioletta, che sembrano avere una complicità speciale. Questo inaspettato incontro porterà la donna a ripensare al proprio passato, al rapporto con le sue stesse figlie e ai suoi errori.
Non è semplice mettere in scena sul grande schermo i tormenti interiori di un singolo protagonista. Eppure, nonostante ciò, la cosa può essere resa più semplice dalla bravura dell’interprete di turno (oltre che da un sapiente lavoro di scrittura, s’intende). In questo caso possiamo, dunque, affermare con sicurezza che la Gyllenhaal ha indubbiamente avuto buon occhio nella scelta della sua protagonista: Olivia Colman, si sa, difficilmente delude (e anche qui a Venezia il pubblico aveva avuto modo di accorgersene). La sua Leda è una donna forte, indipendente, ma non priva di macchia (ma, di fatto, chi lo è?). Una donna che sembra aver trovato un proprio equilibrio, ma che non riesce a perdonarsi per alcuni errori passati. Sarà proprio il passato che ritorna, dunque, a farla entrare in crisi, a farle compiere un gesto inusuale e inaspettato, a risvegliare le sue più profonde inquietudini, a non farle più capire dove finisca la realtà e dove inizi l’immaginazione.
Ed è qui che il film inizia a diventare problematico. Se, infatti, da un lato Maggie Gyllenhaal ha dimostrato complessivamente una discreta padronanza della macchina da presa, e una buona gestione dei numerosi momenti di tensione (soprattutto per quanto riguarda le scene che vedono coinvolta la losca famiglia di turisti), dall’altro è proprio a livello di scrittura che ha lasciato molto a desiderare. Una scrittura che promette molto, ma che finisce inevitabilmente per deludere profondamente le aspettative.
Leda è una donna in crisi. E su questo siamo d’accordo. Ciò che rappresenta un’ombra nel suo passato è il modo in cui ella stessa si è rapportata alle sue figlie quando entrambe erano ancora bambine. Anche questo ci viene chiaramente spiegato durante le prime scene. Eppure, tutto il resto del lungometraggio sembra suggerire ben altro, sembra far presagire ben altri risvolti. Ciò dipende soprattutto da sguardi torvi, velate minacce e ogni qualsivoglia elemento che rimandi alla famiglia incontrata da Leda. E al cinema, si sa, da sempre è legge che quando ci viene mostrata una pistola, essa è inevitabilmente destinata prima o poi a sparare. Peccato, però, che in The Lost Daughter questo sparo non avvenga mai. O, meglio ancora, quando avviene lo fa in modo talmente incerto e poco convincente (con tanto di “soluzione” dall’interpretazione volutamente ambigua) da far sì che l’intero lungometraggio finisca per sgonfiarsi come un palloncino.

A poco, dunque, servono l’ottima interpretazione della Colman, così come le ambientazioni curate fin nel minimo dettaglio o la caratterizzazione dei personaggi secondari. The Lost Daughter, pur volendo chiaramente mettere in scena una determinata tematica, vacilla, si perde per strada e al fine di non andare fuori tema finisce per parlarsi addosso. Nonostante il chiaro entusiasmo della stessa Maggie Gyllenhaal, che di certo in molti preferiamo nelle già collaudate vesti di attrice.

Marina Pavido

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