La parte oscura
L’orrore secondo James Wan è sempre una questione di “sguardo” cinematografico. Ad almeno due livelli. Il primo riguarda la sovrapposizione (im)perfetta tra personaggi (al plurale ma anche al singolare, ove necessario) e spettatore. Lo stato di passività di chi guarda trova fedele riproposizione, ad esempio, nelle vittime del primo Saw – L’enigmista (2004), costrette ad uno stato subalterno dal celeberrimo aguzzino. Oppure il piccolo viaggiatore multidimensionale di Insidious (2010) scivolato in uno stato comatoso dalle motivazioni ultraterrene. Discorso che raggiunge, per certi versi, il proprio apice con questo Malignant, ultima fatica di Wan nonché ritorno a tematiche a lui care incastonato tra i due exploit supereroistici dello sfavillante Aquaman, il cui sequel è al momento in lavorazione.
Madison è una giovane donna turbata da terrorizzanti visioni di morte. Una misteriosa entità uccide le proprie vittime in modalità a dir poco truculenta con la medesima arma bianca; e alla povera Maddie pare sempre di essere presente sul luogo degli omicidi. Che non sono affatto casuali come potrebbe a prima vista apparire. Istanza diegetica – ovviamente da non svelare per non sciupare le molteplici sorprese riservate dal film – che ci conduce al secondo punto teorico affrontato da Malignant. Quello cioè dell’estrema consapevolezza cinefila di Wan. Fattore che gli permette di “giocare” a rimpiattino con la platea, divertendosi a disseminare il lungometraggio stesso di molteplici false piste. Per un po’ Malignant sembra un benvenuto omaggio allo slasher tipicamente anni ottanta. C’è un vilain di dubbia provenienza (demoniaca?) che pare materializzarsi solamente nello stato onirico di Maddie, nemmeno troppo vagamente ispirandosi al mito di Freddy Krueger. Ma riflettendo con attenzione sul prologo di ambientazione ospedaliera negli anni novanta, si capisce che le cose non stanno esattamente in questi termini. C’è poi tanta azione, sia pure innaffiata di emoglobina. Il misterioso serial killer, ribattezzato Gabriel dalla sventurata Maddie, possiede infatti le movenze di un ninja assatanato, capace di acrobazie da far invidia ai protagonisti dei vari wuxia di produzione orientale. Definiamo quest’ultimo un orpello, perché nel finale Malignant sconfina volontariamente nel body horror alla David Cronenberg prima maniera, tenendosi tuttavia accuratamente distante dalle vette filosofiche raggiunte dal cinema del maestro canadese. Il lato ludico, per Wan, deve costantemente prevalere. Almeno fino ad un certo punto. Perché anche in Malignant, al pari degli altri titoli che vanno a comporre la filmografia registica del regista di origine malese, sussistono aspetti morali sottesi. In questo caso, tematica purtroppo sempre di grande attualità, la possibilità della donna di ribellarsi all’ottusa violenza fisica maschile in ambito famigliare in tutti i sensi. Una “presenza” insinuante ed ingombrante che turberà oltre ogni limite l’esistenza di Maddie (una bravissima Annabelle Wallis, non solo provetta scream queen), la quale potrà comunque contare sulla piena solidarietà femminile di madre e sorella minore. Adottive, come si scoprirà verso la fine, in un twist di rara efficacia capace di ribaltare la prospettiva sposata fino a quel momento.
Alla fine della fiera Malignant è un giro sulle montagne russe cinefile che non deluderà affatto gli appassionati del genere, nonostante l’utilizzo abbastanza stantio di alcuni stereotipi sin troppo datati, tipo il ripetuto uso del telefono giocattolo, nei flashback, da parte della piccola Maddie (ricordate l’evergreen Poltergeist di Tobe Hooper?) per testimoniare l’esistenza del suo “amico” immaginario, il quale si rivelerà poi ben altro.
Un sorprendente film alla Frank Henenlotter, regista di film di genere realizzati con pochi soldi e tante idee, che Wan “sdogana”, con successo, verso quei territori mainstream da lui sempre agognati. Non resta che abbandonarsi ad un gioco orrorifico di indubbia maestria formale ma comunque tutt’altro che ingenuo e fine a se stesso.
Daniele De Angelis