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The Last Fight

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VOTO: 7

Tutto ha una fine

A molti il nome di Marloes Coenen non dirà assolutamente nulla, mentre a tutti coloro che conoscono e frequentano il suo mondo rappresenta una vera e proprio istituzione. L’identikit è quello di un’autentica superstar, nonché pioniera delle Mixed Martial Arts (MMA). Ormai alla fine della sua carriera, la pluridecorata lottatrice olandese ha però ancora un’enorme voglia di lottare per il titolo un’ultima volta, per diventare campionessa del prestigioso circuito Bellator MMA. Riuscirà nell’impresa? Chi ne conosce e ne ha seguito le sue gesta sul ring, o meglio nella gabbia, ha già la risposta, per tutto il resto rimandiamo alla visione del documentario che il connazionale Victor Vroegindeweij le ha dedicato dal titolo The Last Fight, presentato prima nella competizione dell’IDFA 2017 e di recente in quella della sezione “Visti da vicino” del 36esimo Bergamo Film Meeting.
Partendo dalla storia di Marloes, il connazionale Victor Vroegindeweij porta sullo schermo la classica biografia di un’atleta, tracciando con le immagini e le parole il diagramma psicologico di una stella del combattimento professionistico. Il “viaggio” nell’esistenza della protagonista passa attraverso le parole della protagonista stessa che racconta e si racconta, alle quali fanno da coro greco quelle dell’allenatore, dei genitori e del preparatore atletico nonché partner e del mental coach. Con estratti di interviste dirette, che vanno di pari passo con il puro pedinamento dentro e fuori dal ring ottagonale, tra estenuanti allenamenti, preparazioni fisiche e diete per perdere peso, piccoli e grandi infortuni, sconfitte e vittorie, il regista olandese da forma e sostanza alla sua ultima fatica dietro la macchina da presa per quanto concerne il “cinema del reale”. Una filmografia, la sua, che come in questo caso torna ancora una volta a focalizzarsi su ciò che ci conduce all’azione e come ci si arma contro l’insostenibile leggerezza dell’essere. E per fare ciò, l’autore solleverà nel corso della timeline tutta una serie di quesiti che daranno spessore e peso alla fruizione, offrendo allo spettatore di turno qualcosa di più rispetto alla mera cronaca sportiva e alle bellissime immagini di combattimento in super slow-motion come accaduto ad esempio in Klitschko, il documentario che Sebastian Dehnhardt ha realizzato nel 2011 su due fratelli pugili ucraini Vitalij Klyčko e Volodymyr Klyčko. Cos’è che spinge qualcuno a scaraventare a terra un altro essere umano con così tanta determinazione? Quali sacrifici deve fare per appagare il nostro desiderio di sangue? Cosa succede quando si è in vetta alla scena del combattimento femminile? Come allontanarsi quando le luci si spengono? Le risposte a queste domande ovviamente non saremo noi a darvele, bensì il documentario.
E come avrete avuto modo di intuire dalle domande che The Last Fight pone e alle quali prova, riuscendoci in gran parte, a dare delle risposte ciò che emerge a conti fatti è una netta prevalenza sulla componente agonistica e in funzione di essa Vroegindeweij mette insieme i pezzi. L’equilibrio perfetto tra dimensione pubblica e privata in questo caso non si palesa, con la bilancia che pende prevalentemente dalla parte dalla parte delle prima. Quando, al contrario, quelle poche volte che i piatti si posizionano alla medesima altezza, allora le due dimensioni si mescolano senza soluzione di continuità, diventando una cosa sola. Ciò che manca a nostro avviso è un po’ più di lato B, quello che c’è dietro la combattente, ossia quella giusta dose di fattore umano che avrebbe permesso al pubblico di conoscere ancora meglio la Coenen donna, come invece accade ad esempio nel pregevole e completo Goodbye Darling, I’m Off to Fight, il biopic che Simone Manetti ha realizzato sui tormenti e le estasi dell’attrice, modella e pluricampionessa di muay thai, Chantal Ughi. Questo per dire che traghettandoci maggiormente nella sfera intima e privata della protagonista, con qualche accenno in più alla vita di coppia e a quella familiare, forse The Last Fight avrebbe potuto toccare tante altre corde.
Ciononostante, la pellicola di Vroegindeweij coinvolge e appassiona sia quando mostra ciò che accade nella gabbia, sia quando si tratta di raccontare i percorsi di avvicinamento ai combattimenti. Questo perché il film ha dalla sua parte una direzione spigliata e sicura, per supportata da una narrazione accattivante e ritmicamente incalzante.

Francesco Del Grosso

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