Il capro espiatorio
Ancora un poliziesco old style per Philipp Leinemann, che per la sua opera seconda dal titolo The Kings Surrender (in originale Wir waren Könige) punta nuovamente su uno dei generi più popolari, ma allo stesso tempo complessi dal punto di vista narrativo e della messa in scena, tra quelli presenti nel ricco catalogo cinematografico. A distanza di anni da Transit, il regista tedesco torna sul grande schermo con un film cupo e crudo, quasi esclusivamente notturno, che catapulta la platea in una guerra senza quartiere tra la polizia e le gang locali che controllano il traffico di droga in una metropoli indefinita della Germania dei giorni nostri. Quando una pericolosa operazione va male e due agenti muoiono, a Kevin e Mendes, a capo della divisione delle forze speciali, non rimane che giurare vendetta per la morte dei colleghi. Una vendetta da ottenere con ogni mezzo, legale e non. Parte così una frenetica e spietata caccia al colpevole, che non rispetta niente e nessuno. E nel mezzo della lotta non manca l’educazione criminale di un bambino e le immancabili scissioni interne alle due fazioni.
Presentato in concorso alla 32esima edizione del Torino Film Festival, The Kings Surrender ha nel dna drammaturgico tutti i caratteri distintivi del genere in questione. Da quest’ultimo prende in prestito gran parte dei temi che solitamente lo animano, a cominciare dall’abuso di potere alla corruzione, passando per la fratellanza e l’uso incontrollato della violenza nelle forze dell’ordine. Con e attraverso di essi, Leinemann finisce con il parlare della sottile linea invisibile che separa il bene dal male, di quanto sia facile oltrepassarla, ma soprattutto di quanto sia altrettanto semplice spezzare l’equilibrio precario che mantiene in piedi le regole. Insomma, nulla di particolarmente originale tranne il modo in cui le due fazioni contrapposte entrano in guerra. Una guerra che si consuma tra le strade e i vicoli, i parchi e le piazze, con lame taglienti, proiettili e a mani nude. Il tutto nell’oscurità di una notte senza speranza. Una serie di temi che hanno trovato terreno fertile a tutte le latitudini, persino nel poliziottesco nostrano dei decenni passati sino alle ultime operazioni made in Italy come ad esempio ACAB. Temi che da Oriente ad Occidente non fanno fatica a trovare spazio negli script, in particolare in quelli dei polizieschi made in USA di registi come Antoine Fuqua o John Singleton ad esempio. Ed è ad essi che il collega tedesco guarda con insistenza, anche se a nostro avviso la principale fonte d’ispirazione attuale resta il cinema di Olivier Marchal, che con 36 Quai des Orfèvres prima e L’ultima missione dopo ha dato nuova linfa vitale alla causa. In tal senso, le strizzatine d’occhio al cineasta e sceneggiatore francese non si contano sulle dita di una mano e per quanto ci riguarda non sono sufficienti per raggiungere i medesimi risultati.
Tuttavia non mancano spunti interessanti, un discreto disegno dei singoli personaggi a fronte di una coralità e momenti di forte tensione (vedi l’inseguimento e il pestaggio nel bosco o l’irruzione nella casa degli spacciatori), anche se disseminati in una sceneggiatura che nel complesso risulta macchinosa ed eccessivamente stratificata. Leinemann sopperisce alle mancanze e all’azione ridotta all’osso con una buona direzione degli attori e con uno stile asciutto e deciso, scelto per assecondare l’anima nera del racconto. Peccato che non riesca a personalizzarle o a rielaborare il tutto in una chiave che non sia classica o più squisitamente citazionista. Non mancano per ciò riferimenti diretti o indiretti all’immaginario poliziesco e a quel bagaglio di cose già viste e riviste, che fanno di The Kings Surrender un piatto visivamente ben confezionato, ma dal sapore già conosciuto.
Francesco Del Grosso