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La buca

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VOTO: 6.5

Filosofia del delitto

In trasmissione il grande pensatore Aldo Biscardi lo avrebbe definito un “ping pong televisivo”. O magari “pinghe ponghe”, volendo noi rispettare quella sua pronuncia non estranea a certi “regionalismi”. Sta di fatto che a distanza di pochi giorni ci siamo ritrovati a commentare prima Belluscone – Una storia siciliana di Franco Maresco, in virtù della sua presentazione a Venezia, e poi La buca di Daniele Ciprì. Sebbene in una forma, per così dire, sublimata, si è pertanto riproposto nell’immaginario cinefilo il dittico Ciprì & Maresco, che tanto aveva offerto alla cultura audiovisiva italiana in termini di sperimentazione linguistica e scomodi contenuti. Ora, però, il duo di un tempo agisce separatamente; e a voler stabilire un bilancio, magari provvisorio, di chi abbia spinto più in là la propria ricerca, le nostre preferenze vanno di gran lunga al lavoro in perpetua, arguta oscillazione tra fiction e documentario realizzato, con lampante genialità, da Franco Maresco. Ciò d’altro canto non deve spingere a biasimare e sottovalutare l’esito artistico senz’altro più fatuo, ma godibilissimo nella sua graziosa cornice naïf, di un film come La buca.

Con il lungometraggio di Ciprì sembra quasi di immergersi nuovamente nelle atmosfere di un giallorosa anni ’60, arricchito da sfumature grottesche (vedi la vicenda del falso invalido) che possono alludere, di striscio, ai tristi fantasmi della realtà italica odierna. Sono strumenti espressivi che prendono da subito un gusto retrò: le simpatiche siglette animate stile “Pantera Rosa”, la fotografia che assume toni vagamente vintage soprattutto nei flashback, lo stesso personaggio di Papaleo i cui trascorsi non stonerebbero in qualche vecchio feuilleton. Ecco, con una Valeria Bruni Tedeschi non troppo distante dai personaggi che le vediamo spesso cuciti addosso, sono invece Rocco Papaleo e Sergio Castellitto ad assicurare al film una marcia in più, dando vita a duetti di gran classe. Ed è sovente il cagnetto ribattezzato Internazionale a fare da sponda ai protagonisti, in quelle scenette amene e leggere che, nel bene e nel male, fanno tanto “film per famiglia”. Diverte in particolare Castellitto, grazie all’interpretazione così caricata, estremizzata, del personaggio di Oscar, avvocatuccio abituato a campare di espedienti che studia piani sempre più cinici, rivelando poi di quando in quando un po’ di buon cuore. Procedendo a passo svelto e con quel muso un po’ da topo, sempre intento a curiosare, l’attore sa come rendere, magari impressionisticamente, la natura di tale soggetto. Mentre spetta al malinconico personaggio interpretato da Papaleo il compito di creare spessore, garantendo un po’ più di tensione emotiva al racconto: la vicenda di Armando, detenuto per anni ingiustamente e intenzionato a far luce sul caso giudiziario che lo aveva coinvolto, è il motore stesso della narrazione, la cui vocazione umoristica soltanto a tratti però riesce a far breccia. Ci sono situazioni e personaggi che strappano volentieri un sorriso, è vero, ma in generale l’impressione è che lo humour stenti a decollare, rimanendo in parte congelato nell’impronta così curata dei costumi, degli arredi scenici e dei diversi ambienti rappresentati. Ne consegue che il timbro grottesco pur presente ne La buca resti come sospeso a metà, producendo atmosfere che catturano l’attenzione dello spettatore, senza mantenere però lo stesso grado di curiosità e di interesse dall’inizio alla fine.

Stefano Coccia

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