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Resta anche domani

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VOTO: 5

Una chitarra, un violoncello, l’amore giovincello

Diffidare, sempre, dei film a target precostituito. Il più delle volte vengono pianificati a tavolino seguendo ricette ampiamente sperimentate, dunque in chiaro odore di déjà vu. Possono accontentare in qualche modo una fascia del pubblico di riferimento, ma in compenso deludere senza appello tutti gli altri incauti che, magari attirati da qualche nome d’interesse nel cast, si sono avventurati in sala per un’occhiata.
Resta anche domani appartiene a pieno titolo alla categoria, facendo leva su una storia dalla valenza in teoria universale che dovrebbe calamitare l’attenzione delle adolescenti di ogni parte del globo. Le basi dell’operazione sono chiare. Si prende un libro di successo – in questo caso If I Stay (come recita pure il titolo originale del film) della pluripremiata e furbissima scrittrice “young adult” (basta!) Gayle Forman – lo si fa sceneggiare da un’esperta mano femminile (Shauna Cross) per poi affidare la regia ad un sicuro mestierante del piccolo schermo, tale R.J. Cutler. Perché non affidarsi ad una regista di sesso femminile non è lecito sapere, tuttavia meglio non indagare oltre. Ciliegina sulla torta, la presenza di una stellina in rampa di lancio, la bravissima (altrove) Chloë Grace Moretz. A questo punto si può infornare il tutto. Il genere è quello, abusato, della love story giovanile con disgrazia incorporata. La morale di fondo è che basta un attimo di avverso destino per stravolgere un’esistenza felice. L’adolescente Mia (Moretz), aspirante violoncellista dotata di talento, viene “puntata” dal bello del liceo, Adam, a sua volta vocalist nonché chitarrista in una band. Scoppia l’amore reciproco. L’illusione dello spettatore un po’ attempato di trovarsi di fronte ad una spigliata commedia di costume sul modello anni ottanta muore quasi sul nascere dal momento in cui il fatidico incidente stradale provoca un corto circuito nella narrazione sin lì lineare. Mia entra in coma e la sua essenza spirituale vaga, non vista, lungo gli ambienti dell’ospedale dove giace il proprio corpo inanimato. Tutto ciò mentre il film, da lì in avanti, procede sdoppiandosi nel “lacrima movie” ospedaliero e nei flashback riguardanti principalmente i momenti alti e bassi della relazione tra Mia e Adam. Come si risolverà la vicenda è facilmente intuibile, tuttavia non spoileriamo oltre.
La bella confezione ovviamente non basta a salvare il film dal micidiale concentrato di luoghi comuni da cui è afflitto. L’irrisolvibile problema di Resta anche domani e pellicole affini resta sempre quello di fare affidamento su un immaginario ormai definitivamente digerito, capace di filtrare le storie d’amore raccontate non ispirandosi alla realtà effettiva ma appunto utilizzando il loro rimasticamento cinematografico e televisivo, quello che dovrebbe mandare in solluchero un pubblico predisposto. Prima conseguenza di uno sviluppo narrativo che definire prevedibile è eufemistico una totale mancanza di emozione dello spettatore “neutro”, privato in anticipo di qualsiasi empatia nei confronti dei personaggi, tutti più o meno stereotipati e insignificanti. La Moretz ce la mette davvero tutta per sembrare la nuova Julia Roberts, Meg Ryan o comunque fidanzatina d’America che dir si voglia – e probabilmente potrebbe anche riuscirci, valutando i copioni con maggior attenzione. Intanto però rimpiangiamo la sua memorabile Hit-Girl di Kick-Ass… – ma non riesce a salvare una baracca già minata da fragili fondamenta. L’unica cosa che davvero suscita un barlume di tenerezza è riconoscere la maschera da duro di Stacy Keach nel ruolo del nonno inconsolabile di Mia sul letto d’ospedale. Davvero un segnale ben preciso del tempo che scorre inesorabile.
Per il resto, al di là di qualche batticuore adolescenziale riservato rigorosamente ad una platea di teen-ager, Resta anche domani corre il serio rischio di finire nel dimenticatoio senza nemmeno passare dal via, al pari di qualsiasi altro ciclostilato cinematografico alla Nicholas Sparks, romanziere biecamente sentimentale al quale i produttori devono moltissimo in termini economici mentre all’opposto si è guadagnato il disprezzo senza riserve da buona parte della critica. Purtroppo, c’è da aggiungere che il film diretto dall’anonimo R.J. Cutler non ha nemmeno quella pulsione ad andare sopra le righe che percorreva titoli tipo Come un uragano (2008) o Dear John (2010), entrambi tratti dalla penna di Sparks. A testimonianza di quanto sia molto più facile cadere nella retorica del banale piuttosto che raggiungere le delizie inconfessabili dell’oggetto di “sculto”. Ognuno ha quel che si merita, alla fine…

Daniele De Angelis

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