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The Divine Order

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VOTO: 7.5

La scintilla

Quella alla terza edizione delle Giornate del Cinema Europeo Contemporaneo non è stata la prima apparizione pubblica su suolo nostrano di The Divine Order, ma per noi che avevamo perso l’anteprima italiana tenutasi lo scorso novembre al WeWorld Festival 2018, la proiezione nell’ambito della kermesse meneghina è stata l’occasione perfetta per recuperarlo.
Vincitrice di ben tre riconoscimenti al Tribeca Film Festival 2017 (tra cui il premio del pubblico) e candidata svizzera (ma non rientrato nella cinquina) per la corsa all’Oscar per il miglior film straniero, l’opera seconda di Petra Volpe porta sullo schermo una pagina ben poco gloriosa della storia del suo Paese. Una pagina, questa, che rappresenta una vera e propria macchia sulla coscienza “pulita” di una nazione. Stiamo parlando della battaglia che le donne svizzere hanno dovuto affrontare per conquistarsi il diritto di voto e la possibilità ad essere elette a livello federale. In pochi – noi compresi -, infatti, sanno che la Svizzera è stato uno degli ultimi Paesi al mondo ad avere introdotto il suffragio femminile nel 1971. Un record in negativo del quale sicuramente non andranno fieri. Motivo in più per non andare a sbandierare la cosa ai quattro venti, facendo leva sul trascorrere del tempo per dimenticare. Ma certe cose nemmeno con lo scorrere delle lancette si possono dimenticare, rimanendo impresse nella memoria collettiva come una colpa che non si può cancellare. Ora questo che per molti è stato un “segreto”, non lo è più e se non lo è il merito è anche della pellicola scritta e diretta dalla regista di Suhr. Quindi al di là che possa incontrare o no i gusti della platea di turno, al film va riconosciuta l’importanza di quanto riportato alla luce dalla soffitta della dimenticanza.
Per farlo, la Volpe ci catapulta senza rete di protezione all’epoca dei fatti, per la precisione siamo nel 1970, al seguito di Nora, una giovane casalinga e madre, che vive in un piccolo e caratteristico borgo svizzero con il marito e i due figli. La campagna è toccata dai grandi sconvolgimenti sociali che il movimento del 1968 ha portato con sé ma Nora non sembra risentirne. Almeno fino al giorno in cui inizia a lottare pubblicamente per il suffragio delle donne, su cui gli uomini sono chiamati a esprimersi il 7 febbraio 1971. Proprio lei diventa la scintilla che innesca la miccia della protesta delle donne locali, con la mente che non può non tornare al personaggio di Maud Watts, così magistralmente interpretata da una bravissima Carey Mulligan in Suffragette, con il quale The Divine Order ha non pochi punti di contatto, ad eccezione del periodo storico, delle dinamiche e del luogo che hanno fatto da cornice ai fatti narrati nel film di Sarah Gavron. Anche qui la vicenda va di pari passo con il percorso di ribellione e di presa di coscienza di un singolo prima e di una moltitudine poi. E davanti agli occhi ripassano le immagini di We Want Sex di Nigel Cole sullo sciopero del 1968 di 187 operaie alle macchine da cucire della Ford di Dagenham, ma soprattutto a una pellicola toccante come Cart di Boo Ji-Young, dove alcune lavoratrici sfruttate e precarie in un grande supermercato della Corea del Sud si organizzano per opporsi pubblicamente a dei cambiamenti di contratto che stan subendo e che le avrebbero portate al licenziamento. Formano così un sindacato, tentando di negoziare la loro situazione. Non ascoltate decidono di usare misure più drastiche e scioperare. Diverso il motivo, ma il fine è anche in questo caso la rivendicazione di un diritto sacrosanto negato alle donne, per le quali si batteranno con tutte le loro forze.
Da parte sua, la cineasta svizzera firma un’opera che parla di coraggio e di rivendicazione del ruolo della donna all’interno della Società di ieri e di riflesso di oggi, ma anche di famiglia e di legami affettivi. Una dramedy in costume che grazie a una confezione scenografica e a una costumeria molto curate riesce a immergere lo spettatore nelle atmosfere, nei colori e nelle emozioni di quegli anni così turbolenti. Il tutto condito con dosi alternate di humour e di dramma, sapientemente iniettate nelle vene della timeline dalla fase di scrittura e dalla successiva messa in scena. Ne viene fuori un film piacevole allo sguardo e coinvolgente nel racconto, la cui vera marcia in più è rappresentata dalla performance appassionata e appassionante di Marie Leuenberger nel ruolo di Nora. Lei è una vera scoperta.

Francesco Del Grosso

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