Il richiamo della foresta
Nove anni. Tanti ce ne sono voluti per rivedere Thomas Cailley dietro la macchina da presa. Il classe 1980 di Clermont-Ferrand aveva lasciato il segno nel 2014 con la sua pluripremiata opera prima dal titolo The Fighters – Addestramento di vita (Les Combattants), raccogliendo consensi e riconoscimenti alle diverse latitudini nel circuito festivaliero internazionale, a cominciare dall’anteprima sulla Croisette, per poi sparire inspiegabilmente dai radar degli addetti ai lavori facendo perdere le sue tracce. Diversamente da molti colleghi e dal fare comune, il regista e sceneggiatore francese ha preferito uscire dalle scene e non cavalcare l’onda del successo del film d’esordio per aspettare l’occasione e la storia giuste per tornare sul grande schermo.
Quel momento è arrivato nel 2023 quando con The Animal Kingdom è tornato a fare parlare di sé e del suo cinema, in cui i codici e gli stilemi del genere si vanno a mescolare senza soluzione di continuità con un’impronta decisamente più autoriale in termini di approccio ed esigenze narrative. In quest’opera seconda, presentata nella sezione Un Certain Regard della 76esima edizione del Festival di Cannes e vincitrice di cinque premi César su dodici candidature complessive, il suddetto connubio trova ulteriore espressione. La pellicola, distribuita nelle sale nostrane a partire dal 13 giugno 2024 da I Wonder Pictures, si sviluppa per oltre due ore su una timeline nella quale registri e generi come il fantasy e il body horror s’intrecciano con dinamiche riconducibili al dramma familiare e al coming of age. Un modus operandi che in parte aveva caratterizzato il lungometraggio d’esordio e che il pubblico di turno ritroverà anche in questa nuova fatica cinematografica che Cailley ha scritto a quattro mani con Pauline Munier. Il plot ci teletrasporta in un futuro prossimo nel quale la razza umana è travolta da un’ondata di misteriose mutazioni che trasformano le persone in ibridi animali. Tra coloro che vengono colpiti da questa “malattia” c’è anche Émile, un adolescente qualunque alle prese con i primi tumulti adolescenziali che vorrebbe solo una tipica vita da liceale, ma che d’un tratto assiste al manifestarsi dei primi sintomi della metamorfosi sul suo corpo. In cosa si sta per trasformare e come farà a celare al resto della popolazione il progredire dell’inarrestabile mutazione in corso lo lasciamo alla visione, ma una cosa è certa: in un mondo che guarda alle cosiddette “creature” con odio e diffidenza, solo abbracciando la propria vera natura il ragazzo potrà scoprire ciò di cui è davvero capace.
Fantastico e realtà contemporanea quindi si fondono per dare forma e sostanza a una storia sulla libertà e su tutto ciò che possiamo essere in grado di fare se accettiamo cosa siamo e cosa possiamo diventare. In The Animal Kingdom tutto passa attraverso un messaggio estremo e provocatorio: l’uomo può arrendersi felicemente alla propria essenza bestiale. Lo fa seguendo traiettorie drammaturgiche diverse da quelle dei mutanti di X-Men, per spostare una visione più in linea con Border o Lamb per capirci con protagoniste delle persone normali calate in un contesto realistico messo in dubbio da un elemento fantastico che ne stravolge le esistenze. Sta qui la differenza sostanziale tra la visione data dal cineasta francese e quella alla base dei capitoli della saga d’oltreoceano. In tal senso, Cailley si prende tutti i rischi del caso ma alla fine i fatti gli daranno ragione nonostante l’eccessiva durata che va oltre le reali esigenze di un racconto forse un po’ troppo dilatato nella parte centrale. In generale il film, anche grazie al supporto di effetti visivi di buona fattura e delle performance di un trio ben assortito formato da Paul Kircher, Romain Duris e Adèle Exarchopoulos, riesce a coinvolgere ed emozionare il fruitore toccando corde non semplici con il giusto livello d’intensità che sale e scende in maniera febbrile. A questo contribuiscono e non poco i brani della splendida colonna sonora curata da Andrea Laszlo De Simone, cantautore, polistrumentista e produttore discografico torinese, le cui musiche rappresentano un valore aggiunto dell’opera.
Francesco Del Grosso